Natale arriva senza accorgercene. In questi anni di
consumismo sfrenato si sente l’esigenza di una spiritualità dell’essere e
bisognerebbe ascoltarla nei silenzi, lontano dai clamori e dagli schiamazzi, dalle
imposizioni degli acquisti e dello spreco. Non è facile restare un po’ con noi,
farci compagnia senza costrizioni. Vige sempre un frastuono, una caotica realtà
che blocca questo flusso di coscienza. Le luci danno regalità all’evento, i
doni importanza a quanto accade, il cibo solennità a ciò che si svolge. Eppure
la vera festa è una riconciliazione con noi stessi, in quella capanna, con la
mangiatoia prima vuota e poi riscaldata dal corpo di un bambino, sotto quella
stella custode della nascita. La rumorosità della vita moderna ci impedisce di
isolarci, di provare a comunicare con noi stessi. E’ quello che il Bambino ci
ha insegnato: nascere in un deserto e non in una reggia, in una città dal nome
semplice, Betlemme, che significa “casa del pane”, quel bambino che nessuno
riconobbe, se non i pastori e i Magi, cioè gli umili e i saggi. Un abete nasce
al freddo e al gelo, ma nei nostri salotti assume l’aspetto di un cono protetto
dal calore delle case. I regali devono essere rappresentativi della nostra
potenza, del nostro status, mentre basta poco per dire al prossimo che è nei
nostri pensieri. I veri doni sono quelli che non possiamo permetterci:
ascoltare qualcuno con vero interesse, spendere tempo per una giusta causa,
impegnarci in un progetto impossibile, curare chi ne ha bisogno, dare spazio a
chi non viene preso in considerazione. Il nostro essere vive di opere e non
sfarzi, si arricchisce col calore degli altri e ci vuole sempre padroni di noi
stessi. Il Natale dovrebbe essere sobrio, giusto il necessario, con poche cose,
quelle di cui realmente abbiamo bisogno. E dopo averle fatte nostre, dovremmo
saperle insegnare ai nostri figli, agli amici, a coloro che vivono intorno. E’
quello che ci insegna il Re, la capanna, con umili e saggi, la luce sul capo,
un progetto da costruire. Chissà che cosa sarebbe successo se il re fosse nato
a palazzo, contornato da ministri, pieno di ricchezze. Lo avevano temuto e per
questo cercato di eliminare con l’uccisione dei primogeniti maschi. Ma il re si
nasconde a tutti nascendo povero. Spesso nel contrario delle cose si trovano le
verità. Il Bambino era la verità. Quanti bambini ci sono per Natale? Quanti
bambini possiamo contare? Un bambino non adula, non finge, non trae in inganno,
non si nega… Un bambino è ingenuo, novello in ogni situazione, vero, spontaneo.
Sono gli adulti che crescendo sanno fingere, sanno bleffare, sanno fare del
male, ordiscono trame, diventano altro, molto altro, lontani dal loro stesso
bambino. Si dice che sia la vita a chiederlo. Cosa ci chiede la vita? Di
condurre il bambino che ognuno si ritrova a essere per il mondo, nelle
esperienze della vita. Tutto il bagliore della festa dovrebbe servire a
ricordarci quanto tutto questo sia importante e necessario. Sono così poche le
volte che lo ascoltiamo che diventa difficile riconoscerne anche la voce. Molto
spesso è il ruggito di un essere in gabbia, perduto e insoddisfatto. Ogni
nostro gesto risponde a un’esigenza esterna e non al piccolo re in noi. Siamo
chiamati a rispondere alla vita che ci vuole sempre più in competizione con noi
stessi. Ma se riuscissimo a fare spazio a quel piccolo che dentro aspetta,
sentiremmo una musica diversa. E allora permettiamoci le luci più splendenti
che fanno girare la testa a chi giunge per ammirarle, come i Magi nel deserto
richiamati dalla cometa, ma allo stesso tempo dimostriamo quanto quelle luci
siano l’illuminazione che alberga dentro di noi, e quanto capaci di cullare quel
bambino da duemila anni, come il parente più prossimo da amare.
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