Come dice il proverbio: “I parenti li manda Dio e gli amici li
scelgo io”. Gli antichi ne sapevano in fatto di amicizia. Cicerone nella sua
opera Laelius de amicitia afferma: “Namque hoc praestat amicitia propinquitati,
quod ex propinquitate benevolentia tolli potest, ex amicitia non potest”( Ecco
perché l’amicizia è superiore alla parentela: dalla parentela può venir meno
l’affetto, dall’amicizia no). Oggi non ci fidiamo molto dell’altro,
riteniamo i parenti più importanti per un fatto di consanguineità, come se ci
preservassero dalla cattiveria e dalle ingiustizie. Eppure tutti abbiamo
sperimentato genitori esigenti, fratelli
egoisti, zii menefreghisti, fino a sopportare quel determinato parente di cui
avremmo fatto volentieri a meno. La famiglia è il luogo deputato al nostro bene
e se dobbiamo vivere o morire sarà solo per lei, facendo passare in secondo
piano la sfera degli amici. Cicerone afferma che il senso profondo
dell’amicizia è quello di andare alla
ricerca della sua virtù: “nulla è più
amabile della virtù”. L’amicizia è possibile e reale, nasce solo da uomini di bene, per questo è così
difficile. Gli uomini che riescono a instaurare una vera amicizia sono uomini
migliori. Oggi diventiamo amici con un clic, perdiamo facilmente la calma e la
pazienza, non siamo in grado di approfondire o di capire l’altro e lo vediamo
quasi sempre un rivale. Scambiamo l’amicizia con la conoscenza, con le persone che
abbiamo visto nascere, con chi ci torna utile, con chi ci fa un sorriso, con
chi ci è familiare, con l’ospitalità. Conoscenze lunghe una vita possono
restare tali e mai trasformarsi in amicizia. Socrate definiva l’amicizia uno
dei beni più belli che si possa desiderare. Essa racchiude la conoscenza di ciò
che davvero costituisce il bene per noi e per chi amiamo. Il bene profondo
porta a essere anche insistente con l’amico, se questo lo aiuterà. A questo
punto ci si chiede se l’amico debba essere della stessa natura o diverso. Per
Esiodo ognuno è ostile ai propri simili, di conseguenza gli amici dovranno disporre
della stessa natura, avere delle affinità che portino a legarsi. Platone ne
parla ampiamente nel Liside dove non giunge mai a una vera definizione di amicizia,
forse per non poter racchiudere l’attività di due individualità. Aristotele
diceva che ci sono tre tipi di amicizia: quella basata sull’utile, sul piacere
e sul bene. Sicuramente ci si deve fondare sul bene e ciò significa che abbiamo
per l’amico una vera ammirazione, la capacità di percepire la sua luce profonda.
Il vero amico sa leggerci, trae il meglio di noi e ci corregge. Certi sentimenti si
percepiscono nel silenzio e col tempo e l’amicizia
nasce lentamente avventurandoci nel campo dell’altro e solo dopo aver sondato
quello che ci attrae, lo scegliamo.
Con l’amico non abbiamo bisogno di molte parole per spiegarci,
non c’è competizione, né invidia. Abbassiamo le difese ed entriamo in un
territorio sano, privo di maschere, dove non si combatte ma non evitiamo il
confronto. A questo proposito Jacques Derrida afferma che condizione dell’amicizia
è la dissomiglianza che valorizza le differenze. Essa è un bene quando mantiene
i “due” e non li costringe a confondersi per sembrare uguali, altrimenti
scadiamo nelle varianti dell’amicizia. E’ un sentimento molto vicino all'amore, se
non più alto. E come l’amore, se lo cominci a spiegare, non è più amore, così
l’amicizia non si spiega e trova le sue strade dove non possono essercene. Conosce
i tuoi limiti e i tuoi pregi e fa di
tutto per mettere in risalto le tue
qualità. Un vero amico trae da te il meglio, ti fa stare a tuo agio, ti
trasforma anche attraverso un litigio, un’opposizione. Non è importante come,
ma il fine cui tende, che è quello di un confronto continuo, necessario alla
crescita. L’amicizia è capace di grandi cose, se è quella ben stretta, con radici
profonde. Come diceva Platone, l’amicizia si dimostra con i fatti.
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