Quest’estate mi sono appassionata ad alcune serie tv italiane.
Ho cercato di coinvolgere mia figlia esortandola a guardarne una con me, ma lei
continuava a troneggiare al centro del divano a tre posti con la sua serie del
cuore sul computer: DayDreamer- Le ali del sogno. L’ho vista ogni pomeriggio a sganasciarsi
dalle risate, dimentica di quello che le accadeva intorno. Poi ha cominciato a
coinvolgermi facendomi guardare qualche scena che ovviamente non mi diceva
niente, dal momento che non ero al corrente della storia. E mi chiedevo cosa ci
trovasse di tanto divertente. Così siamo arrivate a un compromesso: avrei visto
la sua serie se lei avesse visto la mia.
Mi sono arresa: ho cominciato a seguire DayDreamer-Le ali
del sogno. Come quando si legge un libro, la prima puntata è stato un incipit
convincente. Storia, fotografia, musiche fatte di ritmi mediorientali che tanto
mi piacciono, protagonisti, tutto era perfetto. E’ stato un crescendo. Mi
sentivo come l’unica persona al mondo a non conoscere DayDreamer. Per chi come
me si avventura nella scrittura, notavo che aveva tutti gli ingredienti per
farti andare avanti nella storia. Non vedevo qualcosa del genere dai tempi delle
serie degli anni ‘80. Erano anni che non mi appassionavo così. Ci sono punti
fermi su cui siamo tutti d’accordo. Innanzitutto i personaggi principali: Can e
Sanem, non solo belli ma anche convincenti, che riescono a tenere inchiodati i
telespettatori allo schermo. La storia è ambientata a Istanbul, e
questo mi ha riportato all’atmosfera de Le
mille
e una notte, con il mare, lo stretto, il ponte, i minareti. Mancava
solo un tappeto volante, i ladroni, le lampade, il visir, la principessa. Vedevo
sullo schermo una storia moderna uscita dalle pagine di un testo che ho sempre
amato: Le mille e una notte. E quella
principessa che si sacrifica tutte le notti per non essere ammazzata
dall’annoiato principe che, tradito la prima volta, non crede più all’amore,
ritorna qui. Sanem, la protagonista, per uscire da un fidanzamento combinato cerca
un lavoro e grazie alla sorella lo ottiene in un’agenzia pubblicitaria. Lei ha
un sogno: diventare scrittrice e vivere alle Galapagos. Già nella prima puntata
conosce il suo principe che per sbaglio la bacia nel palchetto di un teatro e
resta folgorato dal suo profumo, così da non dimenticarla più. Cenerentola
perde la scarpa, Sanem disperde la sua fragranza. E’ una storia attuale che si
svolge per la maggior parte sul luogo di lavoro, un’agenzia pubblicitaria e per
il resto in un quartiere popolare dove la vita di tutti i giorni scorre tra
pettegolezzi e difficoltà. Interessanti i dialoghi ben curati e per niente
banali, con una cultura un po’ distante dalla nostra, quella turca, ma allo
stesso tempo affascinante, con personaggi solari e che si danno molto da fare
come Cey Cey, Deren, Mavkibe, la stessa protagonista vulcanica ed
effervescente Sanem e Can che manda in delirio tutti. Non per niente il sottotitolo
è Le ali del sogno ma a me piace
tanto quel Erkenci kus, titolo originale, L’uccello
mattiniero, che ha in sé tutta la freschezza della protagonista che insegue
il suo sogno. E poi una storia con tutti i crismi della fiaba moderna con
protagonisti e antagonisti, trama ben costruita, elementi di aiuto magici, con tutte
le funzioni di cui parlava Vladimir Propp quando formulava lo schema della
fiaba. E cosa meglio di una fiaba può far stare bene, tranquillizzare,
insegnare? Si sperimenta il valore dell’ amicizia, le ansie dei genitori, le
tempeste dell’amore, la gelosia, l’invidia, la cattiveria, l’aiuto delle
persone care. Il punto forte della storia è l’aderenza alla realtà. Can Divit,
fotografo e poi capo dell’agenzia e Sanem Aydin, i protagonisti della serie,
non sono altro che il principe e la principessa il cui amore viene costantemente
ostacolato tra equivoci, paure, ansie, malintesi, invidie. E’ la fiaba di una
volta, che avevamo dimenticato. In essa la descrizione di un mondo moderno con
tanto di tradizione, tra ilarità e serietà, novità e colpi di scena. Tutto
raccontato con tensione, ironia, effervescenza. E si capisce allora il successo
della serie, fatto di una storia semplice con un protagonista che oppone alla
forza fisica una gentilezza d’animo. Mai arrogante, sempre attento, con l’unico
difetto di essere allergico alle bugie e geloso come un bue spagnolo. Be’ chi
non vorrebbe un uomo così? Sembra quasi in antitesi con gli stessi suoi muscoli,
fatti di tartarughe e torace da superman. Di solito scarica in palestra i suoi
momenti di tensione, trova sempre la calma per ogni cosa, affettuoso e
passionale senza mai sconfinare. L’educazione, la pazienza, sono per lui valori
importanti. Ebbene, il successo di Erkenci
kus è questo. Ovviamente ci sono i momenti in cui non ce la fai più a
seguire per la storia che ricade nelle trappole per mantenere l’incantesimo,
proprio come faceva Sharazade, che raccontava al principe le sue storie senza
fermarsi mai per non permettergli di ucciderla. E allora si allungano i tempi
per le risoluzioni, allentano le situazioni, si mantiene la tensione, si sdrammatizza
quando i fatti diventano troppo seri. E poi quell’atteso ricongiungimento dei
due che mai avviene. Adesso mia figlia non si raggomitola più sul divano con le
cuffie, ma guarda con me senza spoilerare, visto che conosce tutti gli
episodi, ridendo e scherzando. Solo alla 40esima puntata si è presentata con
dei fazzoletti che mi ha messo accanto dicendo che ne avrei avuto bisogno. E
così è stato.
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