Computers e privacy

 

Mi è capitato più di una volta, dopo aver parlato di qualche argomento in particolare, o dopo qualche affermazione ad alta voce, tra amici o in famiglia, di aver letto poi su Facebook o anche su una pagina web, durante una ricerca, immagini e argomenti di cui parlavo. Pensavo fosse capitato solo a me, ma consultandomi, tutti hanno affermato di aver fatto caso a questa specie di “magia”. Questo ci fa capire quanto la tecnologia ci controlli.


                                       


Sembra surreale ma è così. Gli aggeggi che, ostinatamente, continuiamo a portare in mano, senza     liberarcene mai, finanche in bagno, sono dei delatori. Spiano i gusti, le abitudini, gli argomenti di cui      parliamo, patologie, idee, stili di vita… Per non parlare del computer o più nelle nostre case. Sono spie concentrate su dettagli della nostra vita, rapportano su ogni cosa. Non facciamo altro che portarli a spasso nelle nostre vite manco fossero delle guardie del corpo e della mente. In un articolo del 1970 si legge che la Repubblica federale tedesca studiava, allora, un progetto per targare tutti i cittadini tedeschi, un metodo che riprendesse“ i loro dati personali, tutti i loro incontri (a qualsiasi titolo) con la pubblica amministrazione”. E prima ancora c’era la proposta di prendere le loro impronte digitali. La motivazione era di stanare la criminalità organizzata. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, erano già schedati tutti i dipendenti pubblici, i criminali, i militari, quelli delle imprese e quelli che avevano a che fare col fisco. Le registrazioni rilevavano anche le amicizie, le spese, le infedeltà,  tutto ai fini, a detta dello stato, di un controllo per l’effettiva veridicità della dichiarazione dei redditi. Grande altra schedatura quella dei dati forniti dalle banche. Tutto ciò emerse per caso discutendo in parlamento della vita privata dei cittadini e di come fosse invasa in nome del controllo fiscale e criminale. Il polverone sollecitò la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che portò a parlarne in un dibattito con 400 giuristi.

 La parola privacy fu coniata dagli inglesi per tenere a bada la vita privata da quella pubblica. La normativa, aggiornata il 4 maggio 2016, è diventata un paradosso: più è invocata, più manca. Una volta non si parlava apertamente di salute, religione e politica, oggi non sono più dei tabù.  Il tracciamento delle nostre ricerche online segna un percorso le cui notizie appartengono alla nostra sfera privata. Se per più di una volta incalziamo lo stesso argomento nelle ricerche online, riveliamo una nostra tendenza, abitudine o interesse. A cominciare dai giornali che seguiamo, gli argomenti, il tipo di pagina che cerchiamo. Siamo degli algoritmi da seguire, nient’altro. Anche la nostra intelligenza può essere calcolata dalle nostre scelte. Tutto si sa di noi mentre non si conosce chi usufruirà dei nostri dati e per quale motivo. Se poi per un po’di giorni ci allontaniamo dai social, arriveranno inviti di ogni sorta preoccupati della vostra mancanza in rete.

Ogni paese, fornito di tecnologia, ha dovuto fare i conti con la privacy, concetto oggi molto assottigliatosi nel suo valore. La stessa sicurezza sociale ha fatto sì che la necessità di mappare e conoscere ogni movimento del cittadino producesse il suo effetto contrario. Siamo talmente scontati che per la nostra unicità forse scatteranno altri tipi di conoscenze: dichiarare il neo in qualche parte nascosta del nostro corpo o quell’abitudine gretta o ancora un tic, una smorfia, un ricordo, un evento. In Italia nel 1970 si calcolavano 2300 computers funzionanti, 15mila in Europa, 51mila negli Stati Uniti. Il computer è un elaboratore dati che incamera e archivia, e mentre prima ogni cinque anni tutti i documenti erano bruciati per l’impossibilità di incamerarli, oggi che senso ha poter gestire tutti questi dati?  Tra l’altro immagazzinare ha un costo e ci possono essere abusi da parte di chi usufruisce delle informazioni.

Il tutto si riduce a una disponibilità di potere: quello di fornire informazioni illimitate, di calcolo e di previsione. Un potere nelle mani dei detentori dell’economia per consolidare quanto già hanno.

Non solo, ma questo potere potrà moltiplicarsi per quanti sono gli interessi per cui si usano. Già allora, nel 1970, si parlava del computer come strumento di controllo e di oppressione se il suo uso non sarà sorvegliato. Oggi, dopo 52 anni da quelle previsioni, si va ben oltre e già vediamo gli effetti  negativi che il computer genera. Non sempre abbiamo la visione chiara poiché siamo annebbiati dagli effetti positivi del suo uso che pure ci sono, ma a un costo veramente alto, quello di mettere nelle mani delle multinazionali la nostra privacy e la nostra libertà. Niente resta che sia esclusivamente nostro, anzi, da quando è nata a parola privacy non siamo più protetti nella sfera privata. Ogni azione produce da sé la privacy e puntualmente è travalicata.

Niger Calder, uno scrittore scientifico britannico (1931-1914), affermò che ”i paesi liberi non possono garantire che continueranno a essere liberi; e l’esistenza di potenti tecnologie politiche, come spionaggio privato e gli schedari elettronici, può ridurre la possibilità di rimanere tali”.

E ancora: ”Qualora esista una rete di calcolatori, che copra tutti i campi in ogni ufficio e in ogni casa, potrebbe essere semplicemente impossibile di smettere di usarla nel caso che salisse al potere un dittatore; e, naturalmente, il fatto stesso di non usarla sarebbe considerato come un sospetto…”

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