Mi è capitato più di una volta,
dopo aver parlato di qualche argomento in particolare, o dopo qualche affermazione
ad alta voce, tra amici o in famiglia, di aver letto poi su Facebook o anche su
una pagina web, durante una ricerca,
immagini e argomenti di cui parlavo. Pensavo fosse capitato solo a me, ma consultandomi,
tutti hanno affermato di aver fatto caso a questa specie di “magia”. Questo ci
fa capire quanto la tecnologia ci controlli.
La parola privacy
fu coniata dagli inglesi per tenere a bada la vita privata da quella pubblica.
La normativa, aggiornata il 4 maggio 2016, è diventata un paradosso: più è
invocata, più manca. Una volta non si parlava apertamente di salute, religione
e politica, oggi non sono più dei tabù. Il
tracciamento delle nostre ricerche online segna un percorso le cui notizie
appartengono alla nostra sfera privata. Se per più di una volta incalziamo lo
stesso argomento nelle ricerche online, riveliamo una nostra tendenza,
abitudine o interesse. A cominciare dai giornali che seguiamo, gli argomenti,
il tipo di pagina che cerchiamo. Siamo degli algoritmi da seguire, nient’altro.
Anche la nostra intelligenza può essere calcolata dalle nostre scelte. Tutto si
sa di noi mentre non si conosce chi usufruirà dei nostri dati e per quale
motivo. Se poi per un po’di giorni ci allontaniamo dai social, arriveranno
inviti di ogni sorta preoccupati della vostra mancanza in rete.
Ogni paese, fornito di
tecnologia, ha dovuto fare i conti con la privacy, concetto oggi molto assottigliatosi
nel suo valore. La stessa sicurezza sociale ha fatto sì che la necessità di
mappare e conoscere ogni movimento del cittadino producesse il suo effetto
contrario. Siamo talmente scontati che per la nostra unicità forse scatteranno
altri tipi di conoscenze: dichiarare il neo in qualche parte nascosta del
nostro corpo o quell’abitudine gretta o ancora un tic, una smorfia, un ricordo,
un evento. In Italia nel 1970 si calcolavano 2300 computers funzionanti, 15mila in Europa, 51mila negli Stati Uniti. Il
computer è un elaboratore dati che
incamera e archivia, e mentre prima ogni cinque anni tutti i documenti erano
bruciati per l’impossibilità di incamerarli, oggi che senso ha poter gestire
tutti questi dati? Tra l’altro immagazzinare
ha un costo e ci possono essere abusi da parte di chi usufruisce delle
informazioni.
Il tutto si riduce a una
disponibilità di potere: quello di fornire informazioni illimitate, di calcolo
e di previsione. Un potere nelle mani dei detentori dell’economia per
consolidare quanto già hanno.
Non solo, ma questo potere potrà
moltiplicarsi per quanti sono gli interessi per cui si usano. Già allora, nel
1970, si parlava del computer come
strumento di controllo e di oppressione se il suo uso non sarà sorvegliato. Oggi,
dopo 52 anni da quelle previsioni, si va ben oltre e già vediamo gli
effetti negativi che il computer genera. Non sempre abbiamo la
visione chiara poiché siamo annebbiati dagli effetti positivi del suo uso che
pure ci sono, ma a un costo veramente alto, quello di mettere nelle mani delle
multinazionali la nostra privacy e la
nostra libertà. Niente resta che sia esclusivamente nostro, anzi, da quando è
nata a parola privacy non siamo più
protetti nella sfera privata. Ogni azione produce da sé la privacy e
puntualmente è travalicata.
Niger Calder, uno scrittore
scientifico britannico (1931-1914), affermò che ”i paesi liberi non possono
garantire che continueranno a essere liberi; e l’esistenza di potenti tecnologie
politiche, come spionaggio privato e gli schedari elettronici, può ridurre la
possibilità di rimanere tali”.
E ancora: ”Qualora esista una
rete di calcolatori, che copra tutti i campi in ogni ufficio e in ogni casa,
potrebbe essere semplicemente impossibile di smettere di usarla nel caso che
salisse al potere un dittatore; e, naturalmente, il fatto stesso di non usarla
sarebbe considerato come un sospetto…”
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