La partenza surreale

 

Ore 12, aeroporto di Napoli, mercoledì 31 maggio 2023. Si parte per Zurigo, o meglio, credevamo di partire. Dopo aver depositato il bagaglio da stiva, andiamo al bar. L’aereo parte alle 14.40, c’è tutto il tempo di mangiare qualcosa. Consumiamo stando in piedi al tavolo. Siamo in tre. Mia figlia manifesta un po’ di stanchezza a stare in piedi per un bel po’. Subito dopo ci dirigiamo ai controlli e da lì verso il nostro gate

Mia figlia, sempre più stanca, si siede, mentre noi ci mettiamo in fila. Quando il gate apre per cominciare il controllo documenti, lei si avvicina a noi. Manifesta ancora stanchezza e accusa un giramento di testa. Conoscendola, il padre la sorregge, ma poi crolla e non resta che stenderla al suolo facendo spazio tra la folla. Io le alzo le gambe, i passeggeri intorno ci chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa e se chiamare il medico.  Noi li rassicuriamo poiché il padre è medico. Dopo un po’ si alza, apparentemente come se nulla fosse successo. La fila procede. 

Arriva il mio turno al controllo dei documenti. L’impiegata ha un attimo di esitazione per non riuscire a rilevare alcune notizie, passa al computer e subito dopo mi mette nelle mani i documenti visionati e mi augura buon viaggio. Quel buon viaggio è stato fatale. Non faccio nemmeno un passo che mia figlia dietro di me collassa a terra. La prendiamo e la portiamo lì accanto, su posti a sedere riservati. In un attimo l’addetta al gate ferma la fila e chiama la compagnia Swiss, sulla quale dovevamo viaggiare, per avvisare che una sua passeggera ha un malore. Arriva nel frattempo un’ispettrice che controlla l’accaduto, una dottoressa, due infermieri. L’operatrice al telefono ripete che ci sarà ritardo per la passeggera che non si sente bene, dall’altro capo la compagnia aerea non transige sull’orario (quando si dice gli svizzeri), ma sta di fatto che hanno a bordo già il bagaglio e non la passeggera, che in quel caso sarei stata io, l’unica ad aver passato il controllo.  

Mio marito sollecita a portarla al pronto soccorso dell’aeroporto. La barella non è concessa per la folla che c’è, la sedia a rotelle non va bene per la nausea che mia figlia accusa, l’unico modo per trasportarla è sul telo arancione. In tre la caricano mentre lei diventa sempre più pallida e senza forze. Ora si corre verso il pronto soccorso. L’ hostess è ancora alle prese con la compagnia aerea, alla quale dice che è possibile effettuare fino a mezz’ora di ritardo. Dall’altro capo sono così veloci che hanno già messo fuori il mio bagaglio. Intanto, affastellata di pesi, tre a mano, lo zaino di mia figlia, la mia borsa stracolma e tre giubbotti mi avvio verso il pronto soccorso dell’aeroporto preceduta da un’ispettrice. Mi esorta a sbrigarmi poiché, una volta accettata la paziente al 118, non fanno entrare nessuno. Per quanto la paura mi desse la forza di correre, a un certo punto mi sono fermata per non farcela più, affaticata dall’eccessivo peso che mi portavo addosso. Ho detto alla mia interlocutrice di procedere, che avrei trovato da sola la strada. Allora ha preso uno dei bagagli a mano alleggerendomi di molto. Arrivata al 118 mia figlia, supportata dal padre, aveva già un lavaggio in vena e aveva acquistato il suo colorito.  Io, a corto di fiato, non riuscivo a riprendermi. Con voce pacata e convinta la dottoressa ha cominciato a parlare con mia figlia. In due minuti sapeva tutto di lei e insieme confabulavano come vecchie amiche. La situazione migliorava ma l’aereo nel frattempo è partito. E’ cominciata la corsa ai bagagli: quello da recuperare e quelli da portare al deposito per dover andare all’ospedale. Dopo una mezz’ora mia figlia era ritornata tranquilla, aveva avuto un collasso. La dottoressa ci invita ad andare nel vicino ospedale per un controllo, così chiama l’ambulanza. Ci dicono che noi dobbiamo andare a piedi mentre la ragazza in ambulanza. 

All’arrivo i barellieri la prendono e ci fanno la cortesia di portarci con loro nella parte anteriore del veicolo. Abbiamo percorso il tratto a sirena spiegata in mezzo al traffico che, al nostro passaggio, apriva un varco centrale, dandomi l’immagine delle acque che si aprivano a Mosè. Arrivati all’ospedale, sulle prime non volevano accettare la paziente, poi, sotto nostra pressione, hanno fatto un controllo dopo il tampone per il covid. Con le nuove analisi scopriamo che ha un notevole abbassamento di emocromo. L’ecografia mostra un problema addominale di cui già eravamo informati. Vogliono tenerla in osservazione ma noi decidiamo di tornare a casa per capire il da farsi. Anche qui, all’ospedale San Giovanni Bosco, a pochi passi dall’aeroporto, i medici hanno avuto un atteggiamento serio e professionale.

Tornati a casa, si è ripresa, la paura passata, io ci scherzo su dicendole che non ho avuto il tempo di aver paura dell’aereo, ci ha pensato lei a darcela. Il giorno dopo l’emocromo era ulteriormente abbassato. A quel punto di corsa in ospedale: l’emorragia persisteva ancora. Qui la dottoressa che la visita vuole operarla, mio marito, che in quel momento faceva la parte più del padre che del medico, le chiede di aspettare ancora.  Alle 16.00 l’emocromo arriva a un livello bassissimo, da trasfusioni. Si procede all’operazione. Mia figlia non ha il tempo di capire niente che è catapultata in sala operatoria. Resta in ospedale cinque giorni. Tutto procede per il meglio, l’emorragia rientrata, non c’è stato bisogno di trasfusioni. Un decorso ben seguito in un reparto molto efficiente. Eppure un ricovero era già stato fatto nello stesso ospedale il giorno prima della partenza per capire la situazione e decidere se partire o no. Il medico di turno disse che non c’era alcun problema a partire.

Se il soccorso all’aeroporto, all’ospedale di Napoli e quello di Castellammare sono stati irreprensibili, non allo stesso modo la visita in ospedale prima della partenza. Mia figlia aveva una lenta e continua emorragia già prima del giorno in cui era andata in ospedale per il controllo. In quella sede si doveva già intervenire e invece nulla è stato fatto. Dall’altro devo dire che sia il 118 dell’aeroporto sia l’ospedale  sono stati scrupolosi e professionali, definendo dettagliatamente la situazione con una diagnosi univoca.

Nel giro di pochi giorni abbiamo passato in rassegna ospedali e pronto soccorso. Tante cose funzionano bene e nemmeno ce ne accorgiamo, ma tutto questo non sarebbe successo con un’attenta analisi della situazione in una visita precedente, che pure è stata fatta. In caso di bisogno ognuno vuol ricevere le cure dovute e nel modo migliore.  In medicina non è concessa l’approssimazione e la superficialità, o si è efficienti o no.  Immagino che cosa sarebbe successo se tutto fosse accaduto nell'aereo.

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