Venerdì scorso, al Liceo Pitagora-Croce
di Torre Annunziata, si è tenuto il corso di formazione giornalisti dal titolo “Giancarlo
Siani e la deontologia della professione” con la presenza della Commissione Legalità
dell’Ordine. La deontologia è l’insieme delle regole morali che disciplinano
l’esercizio di una determinata professione, e Giancarlo ha assolto pienamente il
suo dovere con la ricerca della verità.
Quel 23 settembre del 1985 è
diventato un simbolo per la professione giornalista e la sua definizione. Di Siani,
se ne parla sempre in modo doloroso, non si accetta la sua morte sul campo, da
professionista onesto, alla ricerca della verità. Sarà stato tutelato, sarà stato
ingenuo, avrà capito di trovarsi in un vicolo cieco? Era solo con tutto il suo
fervore giovanile e la sua ingenuità. Nessuno che l’abbia messo in guardia sui
pericoli a scrivere di certe realtà. Un giovane alle prime armi con la voglia
di approfondire quello che di solito è eluso. Altro dubbio che qualcuno abbia
speculato su di lui, magari lasciandolo fare come un trapezista senza rete. Elucubrazioni
ormai senza valore. La sua morte dovrebbe servire a non ripetere certi errori,
ma dopo trentotto anni per un giornalista non è cambiato nulla, può trovarsi ancora
nella stessa situazione di Giancarlo. Scrivere la verità dei fatti è complicato
e anche oggi si resta soli. Si può asserire la verità su argomenti che non
ledono interessi o menzionare persone che non possano querelarti. Che cos’è la
querela d’altronde? L’intimazione a non proseguire su quello cui indaghi, a
dirti che ciò che hai scritto è troppo, e devi fermarti. La verità ha una sua
profondità: puoi attenerti solo alla sommità, affondare al suo centro o andare
anche oltre il fondo. La maggior parte si attiene alla superficie. Se affondi
nella notizia, cominciano a prenderti di mira, se vai oltre, affondano te. Un
giornalista è veramente libero di scrivere? Se metti mano in alcuni meandri
della politica, edilizia, sanità, per esempio, sembra si vada a profanare dei
templi, si può facilmente cadere in un abuso, per una parola, una sentenza,
un’insinuazione, un travisamento. I criteri da rispettare sono: la verità,
l’austerità e l’interesse pubblico e mantenere separati i fatti dalle opinioni.
L’informazione deve anche rispondere alle domande del lettore. Oggi il
giornalista ha mezzi che Giancarlo non aveva. Con lo smartphone può scrivere, correggere,
costruire un articolo e pubblicarlo. Il successo della notizia la decreta il
lettore, dal fatto di non ledere i diritti di nessuno, conforme a quanto si
dice in giro. Se aggiungi qualcosa a quello che dicono tutti, sarà pure verità,
ma come voce unica non conta, poiché può essere presa per opinione del cronista.
E l’esclusività della notizia dà la certezza di avere maggiori lettori. La
legge del web è spietata, ma anche quella della carta stampata. Il giornalista è
una talpa: gira, controlla, verifica, scarta, appura, annusa e solo dopo un controllo
capillare di quello che va scrivendo, pubblica. Una volta non c’era la
possibilità di confrontarsi con tutte le altre notizie simili, poiché uscivano
in contemporanea. Oggi la stessa notizia si trova in versione breve, lunga, graziosa, cioè ce n’è per tutti i gusti. Dimmi
quanto tempo hai e ti darò la tua rassegna stampa, sembra un motto ma è così.
La più affidabile è quella breve, sicuro non dice sciocchezze, la meno quella
romanzata, cioè trovi delle aggiunte che non dicono nulla. Da qui alla fake il
passo è breve. E proliferano non solo per incanalare il lettore a ciò che si
vuol far credere ma anche per specularci. L’attività di giornalista prevede non
la manipolazione del fatto ma la confutazione della verità, del fatto oggettivo
senza declinarlo in base alle prospettive personali. La verità costa, il
cronista, per spostarsi, deve gestirsi con mezzi propri, per fornirsi di una
notizia tempestiva, esclusiva e vera. Quella stessa notizia dovrà vedersela con
tutte le altre che fioccano in rete, pertanto sarà utilizzata alla stessa
stregua di quella nata in web. E poiché dopo due ore è già vecchia, il
giornalista non vede il motivo di spostarsi sul posto, metter mano alla tasca, se
con buoni mezzi, ragionamenti e fiuto raggiunge la stesso obiettivo. Le fake
news sono il paradosso di oggi: più che approfondire, manipolano la notizia. E con le tante verità su
cui indagare, si perde il tempo con le notizie scialbe che non servono a
nessuno. L’intrattenimento migliore è dato dall’oroscopo, il tempo, i fornelli,
la moda, il pettegolezzo. E’ diventato un impiegato bruciando le sue capacità,
idee, intuito, bravura, gavetta, voglia di fare. La linea editoriale non è altro che un attenersi
a determinati parametri, un modo per avere un percorso univoco e far fede a dei
principi. Va da sé che la notizia diventa sempre più stupida e sensazionale a
scapito di quella necessaria e utile. Un buon cronista è chi affronta novità,
capacità di scrivere con la propria sensibilità. Ma c’è anche il cattivo
giornalista, che per il direttore Joseph Lelyveld del New York Times “è privo
di umiltà, si distingue per l’egocentrismo, la superficialità, l’eccessiva
partecipazione nella propria prosa, la mancanza di rispetto nei confronti di
cui scrive. I veri grandi giornalisti si vergognano dell’arroganza”.
E ancora quando l’obiettività
non è possibile che almeno resti l’onestà nel verificare, controllare oltre a essere
preciso. Tra i ragazzi presenti al corso con i giornalisti, nessuno era
propenso a svolgere l’attività. Per fare il giornalista ci vuole coraggio e
deontologia, una deontologia che rispetti lo stesso professionista, preoccupato
solo di rendere un servizio alla collettività, evitando che il suo non diventi
un mero esercizio di scrittura.
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