I cari Promessi Sposi di Alessandro Manzoni non
vanno mai in pensione. Facciamo uso di frasi
e nomi dell’opera nel bel mezzo di un discorso o chiacchierata come se stessimo
parlando di parenti. Ritornano il famoso “vaso di terracotta costretto a
viaggiare in compagnia di altri di ferro” riferito a Don Abbondio, il “non fare
la monaca di Monza”, parlando di Gertrude, “sembri il Nibbio o il Griso”, o
l’abusato “Innominato” riferendoci a qualcuno che non vogliamo menzionare. Parliamo
dei personaggi come fossero antenati, zii da commemorare, così di episodi
precisi riportandoli al nostro tempo. Un indiscutibile grande romanzo storico
che caratterizza il nostro panorama letterario.
Ebbe quattro edizioni, dal
1827 al 1840. Comincia con un matrimonio che “non s’ha da fare né domani, né
mai!” per bocca dei bravi che si presentano a Don Abbondio che "tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628", per intimargli di non celebrare le nozze, il giorno dopo, tra Renzo e Lucia. Inconfondibile l'incipit, tra i più famosi e riconoscibili della storia della letteratura: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra
due catene non interrotte…”
La prima redazione risale al
1823 col titolo Fermo e Lucia, nel
1827 esce la seconda stesura dal titolo I
Promessi Sposi, detta la ventisettana, fino all’edizione definitiva nel
1840.
Il romanzo è ambientato nella
campagna lombarda tra il 1628 e il 1630, durante la dominazione spagnola in
Italia. L’autore trova l’espediente di un manoscritto risalente al XVII secolo da cui trae spunto per
la storia. La società è ancora quella della
nobiltà feudale con un clero potente e invadente e una parte di società che
cerca di gabbare il popolo attraverso la cultura come mezzo di sottomissione. Trentotto
capitoli ricchi di avventure, azioni, storie nella storia. I personaggi sono
dipinti tracciandone vizi e virtù di ciascuno con toni chiaroscuri per lasciare
emergere quanto più possibile la verità. Si attraversano i grandi eventi del
periodo, con un realismo alla ricerca della verità e della storicità. Il
narratore è onnisciente e procede tra giudizi morali e ironia spesso aggressiva,
mettendo un certo distacco tra l'autore e la materia trattata. Una sorta di
equilibrio tra i fatti reali e la narrazione soggettiva dell’autore. Si
riconoscono, al suo interno, rapporti di forza, analisi di una realtà fatta di
azioni e reazioni, contrasti con punti di vista psicologico, materiale e
morale. Tutto trova una giustificazione nei piani della Provvidenza e tutto si
ricostruisce attraverso la conoscenza del bene e del male. I personaggi, poli
di forza del romanzo, sono immersi in uno scenario storico fatto di guerra,
peste e carestie. Realismo e tensione emergono per tutto il romanzo.
Sin dalle prime pagine abbiamo
una caratterizzazione ben precisa del personaggio di Don Abbondio, un
pusillanime, ignavo, incapace di prendere alcuna iniziativa, frenato dalla
paura e privo di ogni contributo da parte sua. Accanto al curato si erge
Perpetua, la donna che cura la canonica, abile a trovare soluzioni, impicciona,
sempre a confabulare. La protagonista è Lucia, la ragazza di paese che ama
Renzo in modo devoto e sincero. Il suo promesso è un ragazzo del popolo,
semplice, buono, gran lavoratore. E poi ancora Agnese, madre di Lucia, donna
concreta. Il personaggio prepotente è incarnato da Don Rodrigo, signorotto della
nobiltà feudale, e poi la figura lugubre e tragica dell’Innominato, atto alla
violenza, che supporta le malefatte di Don Rodrigo, per il quale farà rapire
Lucia. Tra le altre figure del mondo ecclesiastico, oltre a Don Abbondio,
abbiamo Padre Cristoforo, la monaca di Monza, il Cardinale Federigo Borromeo.
Della gerarchia ecclesiastica
Federigo Borromeo rappresenta il volto buono, che tende al bene con autentica
nobiltà d’animo. Accanto a questi personaggi principali ne ruotano altri
importanti e meno, tutti inconfondibili, diventati simboli ora del bene ora del
male: i bravi, Azzeccagarbugli, il Conte zio, il Griso, il Nibbio, l’oste,
Donna Prassede, Don ferrante, il gran cancelliere Ferrer…
La genesi del romanzo fu una
lunga gestazione nata negli ambienti culturali tra Milano e Parigi. L’autore fu
a contatto con l’illuminismo francese. Numerosi i romanzi confluiti poi nei Promessi Sposi, tra cui La nouvelle Eloise di Rousseau, La Religieuse
di
Diderot, l’Adolphe di Constant. Al
Manzoni interessò il romanzo psicologico per gli aspetti genuini e demoniaci
come Clarissa di S. Richardson. Un
motivo ritornante nella letteratura settecentesca era quello satanico
valorizzando il ribellismo di Lucifero e l’eroismo malefico. Di questa lunga
tradizione fanno parte: I masnadieri
di Schiller, dove il personaggio Karl Moor incarna l’enigma del bene e del male
in una rivolta contro l’ingiustizia; Messiade di Klopstock, una severa
condanna illuministica di società corrotta; Il
corsaro di Lord Byron, dove troviamo l’eroe demoniaco tra le ribalderie
presenti e il rimorso del passato; e ancora Le
relazioni pericolose di Choderlos di Laclos, La filosofia del Boudoir del Marchese De Sade…
Accanto al motivo della
seduzione c’è poi anche quello della persecuzione con: Il castello d’Otranto di Horance Walpole, Il monaco di G.M. Lewis, Melmoth
l’errante di C.R.Maturin.
Il Manzoni s’immerse in queste
letture, desideroso di nuovi spunti. Tra gli altri predilesse il romanzo di Tommaso Grossi, Marco Visconti, dove il protagonista ama Bice e la perseguita ma
Bice, a sua volta, è innamorata di Ottorino. Si riscontra qui un’analogia tra
la cavalcata notturna del protagonista, folle di gelosia per Bice, e Don
Rodrigo di Fermo e Lucia trascinato a morte da un cavallo imbizzarrito.
Dopo la conversione, il
Manzoni non accettò tutta la letteratura francese e si faceva scrupolo di
liberarsi di alcune opere non consone alla sua nuova condizione di credente.
Per quanto riguarda la monaca
di Monza è lampante l’analogia con La religieuse
di Diderot. In entrambe le opere le novizie prendono i voti forzatamente, ma
mentre Diderot incolpa il monastero per le sevizie della suora, il Manzoni fa
ricadere la colpa su Gertrude. Entrambi usano “scomposta” riferito a bellezza, con
un uso prettamente estetico in Diderot, con un carattere psicologico che traccia
l’incoerenza dell’animo e l’incostanza del carattere in Manzoni. Alla fine le
due opere sono completamente antitetiche, in comune solo la monacazione
forzata, con una tragedia umana e morale in Manzoni che Diderot ignora del
tutto. Nella creazione del personaggio di Egidio, amante della Monaca di Monza,
hanno contribuito il personaggio di Lovelace della Clarissa di Richardson e il Dolmancè di De Sade. Mentre il Dolmancè
spiega a Eugenie che non vi è alcuna azione che sia veramente criminale e nessuna
che possa dirsi virtuosa, Egidio inculca a Gertrude che tutto ciò che lo aveva
portato alla violenza e alla perfidia era un’invenzione dell’astuzia, un’arte
per godere a spese altrui.
Padre Cristoforo, nello sfidare
Don Rodrigo, ricorda l’abate Clerville che affronta il signor Franval in De
Sade e ancora i rintocchi delle campane che scuotono Franval ricordano lo
scampanare che colpì l’Innominato nella terribile notte della sua conversione.
Nella letteratura francese le
monacazioni forzate, la corruzione del clero, la cupidigia dei preti rispondono
a un’esigenza denigratoria e scandalistica, mentre per il Manzoni a un’intima
esigenza di erudire la moltitudine, per avvicinarla al bello e all’utile. Il
Manzoni riconosceva all’uomo i valori di libertà della ragione ma ne moderava
l’azione con i precetti morali e le norme evangeliche. Pur partendo da un
concetto illuministico d’indipendenza del singolo, respingeva la totale
emancipazione. C’è nell’Innominato un processo di riscatto dalla prepotenza a
differenza del personaggio Karl Moor nei Masnadieri
di Schiller e del Corsaro di Byron, dove
non c’è alcuna possibilità di conversione. Il Manzoni procede a un’opera di
restauro sociale religioso concedendo la Provvidenza per cui la sventura è
provvida, come dirà nel coro dell’Ermengarda, come prova voluta da Dio. Il
romanzo non è una propaganda religiosa, come affermava Moravia, ma profondo
sentimento religioso che aiuta l’autore a compatire l’uomo, come certezza di
fede e volontà di redenzione cristiana.
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