Santa Teresa D'Avila

 


                                 Dipinto di Rubens

 Nacque il 28 marzo 1515 ad Avila, in Spagna, morì il 4 ottobre 1582. Fu una religiosa carmelitana, mistica, scrittrice. Nel 1970 è diventata la prima donna a essere proclamata "Dottore della Chiesa", riconoscimento che sottolinea l’importanza del suo pensiero teologico e spirituale.

Teresa entrò giovanissima nel convento carmelitano di Avila, ma solo dopo una lunga crisi interiore abbracciò la vera e profonda fede. Fu colpita da gravi malattie e attraversò un periodo di sofferenze fisiche e spirituali che la avvicinarono ancora di più a Dio. Proprio durante queste esperienze nacquero le sue prime visioni mistiche, che divennero il cuore della sua spiritualità.

Nel 1515, la Spagna era uno dei regni più potenti d’Europa, guidata da una monarchia fortemente cattolica e centralizzata. Il paese era appena entrato in una fase storica di grande espansione e prestigio: Carlo I di Spagna divenne re nel 1516 e nel 1519 anche imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo V. Era uno dei sovrani più potenti della storia europea, con territori che si estendevano dall’Europa centrale all’America.

Fu l'epoca dell' espansione coloniale, con Cristoforo Colombo che aveva scoperto l’America appena vent’anni prima, nel 1492, con le spedizioni di Hernán Cortés in Messico nel 1519, Francisco Pizarro in Perù nel 1530. 

Siamo nel periodo della Riforma protestante, 1517, iniziata con Martin Lutero che mosse critiche alla Chiesa cattolica ormai in crisi: corruzione, simonia, eccessiva ricchezza  del clero. Questo avrebbe avuto enormi ripercussioni in tutta Europa portando alla Controriforma cattolica, che reagì col Concilio di Trento tra il 1545 e 1563, e a cui Teresa contribuì profondamente con la sua opera riformatrice e mistica.

In seguito a questi eventi ci fu anche una Riforma dell'Ordine Carmelitano, fondata sulla preghiera, la povertà e l'interiorità, che si inserisce in questo grande sforzo di rinnovamento della vita religiosa. 

Si diffondevano anche in Spagna le idee dell'Umanesimo con una rinnovata attenzione all'uomo, alla letteratura classica, alle arti e alla filosofia. Nel 1478 fu istituito il Tribunale ecclesiastico dell'Inquisizione, che vigilava sull'ortodossia della fede cattolica. Anche Teresa fu sospettata per le sue visioni mistiche e i suoi scritti, ma mai condannata. In questo contesto turbolento la sua voce si fece sentire con forza, portando un messaggio di rinnovamento interiorepreghiera profonda e amore autentico per Dio.

I suoi scritti sono profondi e allo stesso modo pratici, e ancora oggi studiati. Tra le sue opere "Il Castello Interiore", uno dei capolavori spirituali. Pubblicato per la prima volta nel 1577, l'opera rappresenta il culmine del suo pensiero mistico e teologico. Teresa, con il suo stile diretto e profondo, descrive il cammino dell'anima verso Dio attraverso l'immagine di un castello formato da  sette stanze o "dimore", che corrispondono ai vari stadi del cammino spirituale. L'immagine del castello è inteso come un percorso simbolico che rappresenta il viaggio dell'anima verso la perfezione, la santità e, infine, l'unione con Dio. Un tema centrale del "Castello interiore" è la lotta spirituale. Teresa sottolinea che, sebbene il cammino  verso Dio sia lungo e difficile, è anche il percorso di una continua purificazione dell'anima. Le difficoltà interiori, le tentazioni e le sfide non sono ostacoli insormontabili, ma opportunità per rafforzare la fede e approfondire la relazione con Dio.

La preghiera contemplativa, che è una delle caratteristiche distintive dell'opera, non è semplicemente un atto di meditazione, ma un atto di completo abbandono a Dio. La vera preghiera è uno stato di presenza e ascolto profondo di Dio. È attraverso questo tipo di preghiera che l'anima entra nelle dimore più elevate del Castello.  

La sua vita è un invito a cercare Dio non fuori, ma dentro il cuore, dove, come scriveva lei stessa, “Dio solo basta”.


Le serie turche

 


Le serie turche sono diventate un fenomeno internazionale e riscuotono grande successo anche nel nostro paese.

Le guardano i Boomer ma anche la generazione Z e quella prima. Sono quelle storie che si guardano per caso, magari attratti da un piccolo dettaglio, un'immagine, un panorama mentre si è intenti in qualche faccenda  dando un occhio al televisore. 

Le trame spesso si somigliano, cambiano gli attori e su vecchi schemi se ne  costruiscono di nuove. Grandi famiglie con tradizioni da mantenere, consuetudini che si tramandano, vendette, amori sempre combattuti, funestati da guerre tra gelosie e imposizioni. Le produzioni però sono ambiziose, talvolta competono con quelle internazionali. Col tempo le storie hanno preso intrecci anche più occidentali, ostentando lusso e sfarzo, guardando più all'Europa che all'Asia. Per la maggior parte restano piantate in Turchia, ma affrontano temi anche di un certo rilievo, tra cui la condizione femminile, la mafia, storie forti e toccanti sempre attraversate da amori impossibili o contrastati. I dialoghi, per esempio, mai banali, rispecchiano la realtà con le sue dinamiche e caratteristiche. Panorami mozzafiato con angoli di bellezze naturali sparsi per il paese tra Istanbul e la Cappadocia, Ankara e Smirne, Bodrum e Antalya, Mardin e Adana. L'amore è descritto come un sentimento assoluto capace di muovere tutto ed essere motivo anche di azioni riprovevoli. L'espediente sorpresa gioca un ruolo notevole all'interno di ogni puntata mentre quasi sempre, verso la fine, accade qualcosa  di eclatante che lascia con la voglia di conoscere il seguito. 

Altro aspetto è che le storie procedono solo col consenso del pubblico: se la serie è poco seguita si chiude e di volta in volta si programmano le puntate in base al successo. 

Tema portante l'amore, che avviene sempre in modo graduale. Ma quello che è ancora più importante, l'ascesa di un amore segue un rituale, un percorso, e non come accade nei film che dopo tre parole ti chiedi, guardandoli mentre si baciano, se non ti sei perso qualcosa per capire. C'è una sorta di rito sentimentale da seguire che ti mostra le sequenze e i fatti in progressione. 

Nelle nostre serie, invece, se il protagonista dice: "Sali, ti offro un caffè" alla ragazza, la ritroviamo successivamente incinta, rimandandoci  a quando era salita da lui a prendere un caffè. In quelle turche se prendono il caffè senti cosa dicono e dopo cosa pensano, e ne passa prima di arrivare a un incontro ravvicinato. Creare nello spettatore questa attesa è indispensabile per indurlo a seguire. 

Ma questi sono poi anche gli aspetti negativi: su un fatto e una situazione ci si sofferma fino a esaurimento, per allungare la storia, cosa che la rende meno credibile, e per cercare di ancorare lo spettatore a seguire. 

Gli uomini si mostrano stranamente  dolci e affettuosi nonché rispettosi nei confronti della donna e sembra anacronistico in un paese dove non è presa in gran considerazione. Questo aspetto piace ma non convince molto. Alle parole segue sempre un fatto che le concretizzi e anche questo nella realtà manca. Tutto in quelle storie è a rilento e non solo per "allungare gli episodi". Per parlar d''amore basta già lo sguardo, il comprendersi, sentire quel feeling che non sempre si ha in due.

Il successo sarà pure la lentezza con cui si procede, avendo modo di analizzare ogni sentimento col suo sviluppo. Ma anche l'attesa non scema man mano che avanza la storia.

Quando la puntata finisce, è come uscire da "Le mille e una notte", per ricadere nel mondo vivo e accorgersi che tutta quella gentilezza, quel feeling, quelle attese, quei momenti dolci sono svaniti. 

Accanto a queste ci sono storie  più di tipo occidentale, dove accade tutto fuori dal controllo della tradizione,  un'alternativa a trame che seguono un canone ben preciso.

 Anche nella vita reale turca quelle serie sono anacronistiche, ma intanto gettano un segnale  e una volontà di descrivere una realtà migliore.

Queste serie hanno anche aspetti di una cultura radicata che andrebbe estirpata, come l'uso massiccio di armi: una pistola sempre a portata di mano e lo stesso uomo, che professa dolcemente il suo amore a una donna, è poi anche quello che spara al nemico per difendersi o per portare a termine una vendetta. Ognuno cammina con uno stuolo di guardie del corpo al seguito, tutti armati fino al collo e non solo in serie mafiose. Anche  nelle nostre serie si usano armi, con più discrezione e per la fatidica difesa personale con tanto di porto d'armi. Ed è anche qui anacronistico voler fare i moralisti nel guardare le armi altrui e far finta di non essere a nostra volta produttori di armi. Dobbiamo sempre tenere a mente che azioni viste nei film e nelle serie possono essere emulate, soprattutto dai giovani.

A volte il successo è dovuto proprio a ciò che è diverso e nuovo, realtà sconosciute, situazioni che attraggono, amori ostacolati, storie nella storia. Ma il successo è dato anche dalla vita reale in esse rappresentata, pur anche di cultura diversa, che ci accomuna e riduce le distanze. E come diceva Thomas Mann il successo è una forza segreta e indefinibile, chiaroveggenza, prontezza, la convinzione di influire sui moti della vita col solo fatto della nostra esistenza.


"Fotograferemo tutto, incapaci di ricordare ciò che conta davvero"




Nel racconto:"L'avventura di un fotografo", dalla raccolta "Gli amori difficili" di Italo Calvino, il protagonista Antonino Paraggi riprende coloro che hanno la mania di fotografare ogni momento della vita.

Calvino è stato un precursore dei tempi moderni, anticipando la realtà che ci troviamo a vivere quando affermò: "Fotograferemo tutto, incapaci di ricordare ciò che conta davvero". Oggi, nell'era dell'immagine, viviamo fotografando invece di restare nel momento, che non fa altro che impoverire lo stesso attimo che si fotografa. Questa constatazione  è avallata  anche da uno studio del 2018 del Journal of Experimental Social Psycology in cui si rileva che coloro che sono avvezzi a fotografare e a rimandare alle immagini quello che si dovrebbero vivere personalmente, sono portati a dimenticare con più facilità l'evento stesso, senza trattenere alcun elemento, visto che hanno delegato all'immagine il ruolo di racchiudere il ricordo.

La memoria ha bisogno delle emozioni e dei sentimenti che in quel momento si scatenano in noi e solo attraverso il loro l'alternarsi si può trattenere il ricordo in modo chiaro. Fotografare in modo ossessivo compulsivo, come se una riva, un'onda, un compleanno o un bacio fossero immobili e inconsistenti, senza alcuna relazione a quel momento finisce per essere solo un pallido riferimento spogliato di ogni contrazione per essere vero.

Tentare di fermare il momento equivale ad annullarlo.

Oggi, senza immagini siamo incapaci di partecipare alla nostra stessa vita. Produrre montagne di foto, di cui molte non saranno visionate mai, altre rappresentano dettagli insignificanti, scene senza senso e alcun nesso con l'accaduto, confondono ciò che realmente vogliamo trattenere. Anche nella scelta di quelle che vanno postate, alcune ci rappresentano per quello che siamo, altre, col tempo, le rifiutiamo, poiché non ci riconosciamo più in esse. 

Oggi con le immagini anestetizziamo la realtà, raccogliamo e accumuliamo senza discernimento, facendo diventare la vita un fenomeno da baraccone. Un tempo quattro foto avevano il valore di essere fonti preziose che ci riportavano a momenti unici. Oggi non sapremmo nemmeno a quale dare importanza. La fotografia, pur essendo un prezioso alleato in tante situazioni, sta diventando il metodo per non farci guardare più la vita e affidare alle foto il compito di ricordarci le cose quando è esattamente il contrario: siamo noi, con la nostra memoria ad arricchire e dare significato a quel che abbiamo davanti con l'immagine.

San Francesco

  

                              Dipinto di Francesco Raibolini, detto il Francia, 1490

Nel XIII secolo l'insegnamento cristiano si pone alla base di tutte le esperienze sociali. Il lungo periodo, che va dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d. C. a quel tempo, fu un periodo buio e intessuto di violenze, sopraffazioni, guerre e carestie  e l'insegnamento cristiano con la sua fede in Dio rappresentava un punto di forza a cui si rifacevano tutti gli strati sociali. La religiosità acquista un valore vissuto non solo nell'ambito del clero ma nei vari contesti di vita. Il cristianesimo aveva la forza necessaria per trasformare e risollevare l'uomo.

Anche la Chiesa avverte l'esigenza di integrarsi maggiormente nella vita sociale dando risposte significative a ogni richiesta. Nascono in questo periodo gli ordini mendicanti come quello domenicano e francescano.

I domenicani si pongono su un piano teologico e dottrinale mentre i francescani si calano nella realtà della gente con un'azione che tiene conto della vita di tutti i giorni.

San Francesco è il fondatore dell'ordine francescano, figura carismatica che ancora oggi riscuote successo nell'ambito della cristianità.

Nacque nel 1182 ad Assisi da Giovanni Piero di Bernardone, poeta e mistico, appartenente a una famiglia borghese.

Francesco visse per i primi anni della sua giovinezza in una vita agiata e nel benessere ma anche per lui monotona. Qualcosa accadde in questo periodo da renderlo insofferente al suo ambiente fino ad abbandonare ogni ricchezza e privilegio  e abbracciare una vita povera e semplice. Si spogliò di ogni suo avere e indossò l'abito più semplice: un saio. 

Francesco aveva una formazione profondamente religiosa ma aveva anche un grande interesse per la letteratura romanzesca francese. Prima della conversione viaggiò  in ogni parte e dal 1219 al 1220 visitò l'Oriente.

Fu autore del "Cantico di Frate Sole", un testo in volgare umbro  conosciuto anche col nome: "Il Cantico delle creature". Fu scritto un anno prima della sua morte. In quel periodo Francesco era affetto da malattie e afflitto da un serio problema alla vista.

Il Cantico è una preghiera rivolta a Dio, in cui l'autore lo ringrazia per la vita e tutte le creature del creato. Ricalca la poesia medievale, in metro sciolto ma ritmato e riprende riferimenti e modi del Cantico dei Cantici.

Il testo è costituito da trentatré versi in cui è racchiusa una preghiera che si fa poesia per la sua semplicità, intonazione e significato.

Inizia con una lode a Dio, davanti alla cui grandezza gli uomini avvertono la loro incapacità e impotenza. E proprio per questo Francesco invita gli uomini a lodarlo: ringraziare Dio per ciò che ha donato loro. Comincia con Fratello Sole e poi le Stelle e la Luna e ancora la Terra e l'Acqua e il Fuoco e l'Aria che ci forniscono bellezza e sostentamento. Tutto ciò che ci circonda è espressione di Dio, ci parla della sua bontà e benedizione. Alla bellezza del creato deve seguire poi la bellezza dell'uomo e ciò implica il perdono e la morte. Nei versi:"Laudato tu sia, mio Signore per quelli che perdonano in nome del tuo amore e sopportano dolori e malattie" emerge il perdono come segno di maturità nei confronti del prossimo e di animo nobile.

E ancora spetta all'uomo la morte, chiamata:"nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun uomo che vive può scappare". Per Francesco la morte fisica è necessaria per aspirare alla vita eterna.

Il Cantico chiude dopo l'esaltazione della vita, con la morte, una necessità della vita stessa e bisogna fare in modo che avvenga senza peccato per poter  trovare se stessi nella grazia di Dio.

Tutta la potenza del Canto risiede nella sua semplicità, nel ritmo che riporta alla poesia biblica, quasi un'ode da recitarsi ogni giorno e da cui l'uomo trae la forza per sostenere la sua vita.

Francesco morì a 44 anni nel 1226. Nel 1228 Papa Gregorio IX lo iscriveva nell'albo dei Santi.

Fu proclamato patrono d'Italia nel 1939.


Karim e il diario di guerra

 



Sulla pagina di ieri, The Guardian pubblica il diario di Karim a Gaza. Karim ha poco più di vent’anni ed è infermiere. E’ stato sfollato, a causa della guerra, per ben 13 volte con la sua famiglia.

Il ragazzo ha fornito  un diario di un mese. Tra le sue pagine si legge la sfiducia nei confronti di chi dovrebbe prendere in mano le sorti della guerra. Sono 2 milioni per un territorio meno di 20 kmq, come dire che vanno incontro alla morte lentamente. Riporta a questo proposito una frase di Golda Meir che una volta disse: "Forse col tempo saremo in grado di perdonare gli arabi per aver ucciso i nostri figli, ma sarà più difficile per noi perdonarli per averci costretto a uccidere i loro figli". 

Nella giornata del 18 agosto conta circa sei razzi nel cielo, sotto il cui fuoco resta solo cenere. E per questo ha smesso di contarli. È attanagliato dal panico e ogni giorno è uno in più di sopravvivenza. I suoi genitori si rifiutano di abbandonare la loro casa e in giro c'è un'aria di aggressività: le persone sono provate da due anni di repressioni e sono diventate egoiste, cercano di fare affari e trarne benefici anche dalla guerra.

 Karim afferma: "La cruda verità è che gli israeliani non sono mai stati timidi riguardo ai loro obiettivi: 'Distruggeremo Gaza'. L'hanno fatto. 'Entreremo a Rafah'. Tutti gli occhi erano puntati lì. Cosa succederà dopo? Gaza City, casa mia. Sarà svuotata, diventerà una landa desolata come Rafah. Sto rubando qualche giorno di tranquillità ora - una breve, fragile pace che mi sono guadagnato."

Karim si stabilisce in un garage, le cui pareti sono fatte di teloni di plastica e con lui vanno a vivere anche i suoi genitori. La gente non vuole lasciare le proprie case, preferisce morire. Il giorno 9 settembre c'è un raid anche contro il Qatar, con la più grande base americana in medio oriente.

Il 15 settembre è il compleanno di sua madre e certamente non può festeggiarlo come nelle foto che ha ancora sul telefono del compleanno del 2022, dove c'è la sua torta preferita: una cheesecake. Per quella occasione le regalò una copia di "1984" di George Orwell, che purtroppo è stata bruciata nel 2023 per farne fuoco per il pane. Karim si chiede che cosa penserebbe Orwell se fosse adesso lì. Immagina il suo perdono. Non c'erano alternative. Adesso Karim non ha i soldi per la torta a sua madre e tutto ciò che può offrirle è un bacio.


Il 21 settembre hanno riconosciuto la Palestina come stato il Regno Unito e l'Australia. Tutto a un tratto si comincia a parlarne, tutti ne parlano, come se avessero visto solo ora. Per Karim sono ipocriti. Il 25 settembre, per strada un uomo crolla a terra e muore. La morte è diventata una routine, per cui nessuno più ci fa caso. Assuefarsi alla morte è peggio che morire.

La sua giornata è una corsa alla sopravvivenza: deve ripararsi dal freddo, procurare da mangiare per lui e i genitori, darsi da fare a trovare una via d'uscita a quel malessere e tensione che tutti provano. Ma si chiede come sia possibile se sono state distrutte le loro identità: non ci sono più documenti, niente passaporti, niente internet. Chi sono senza alcuna identità?



La festa dei nonni

 







Oggi, 2 ottobre, festa dei nonni. Rappresentano le radici della famiglia, l'anello di congiunzione tra passato e presente. Molti aiutano nella gestione dei nipoti quando i genitori lavorano, li accompagnano a scuola, controllano i compiti, li accolgono per lunghi periodi. I bambini ricordano anche ai grandi la loro infanzia con una fase di ritorno a quel tempo, migliorando il legame all'interno della famiglia. È un tornare di nuovo a casa dove ogni persona diventa una preziosa presenza che ridefinisce valori e affetti.

I nonni di oggi sono diversi da quelli del passato, hanno una vita autonoma, piena di interessi, ancora nel pieno delle loro attività, con impegni da fare invidia ai giovani. Hanno un aspetto curato, usano i social e conoscono la tecnologia. Chi si aspetta il nonnino che legge il giornale col bastone e la nonnina che sferruzza un maglioncino, si sbaglia. Potranno anche leggere e sferruzzare, ma come ultima cosa in una giornata interminabile. I nonni di oggi lavorano a computer, vanno in palestra, seguono corsi vari, e sembra non vogliano lasciare quello che per anni è stato il loro stile di vita.

Tutto questo non pregiudica il rapporto coi nipoti. Per i nonni sono una ventata di freschezza: non danno le ansie vissute con i figli, si capiscono al volo, in un rapporto privo di divieti che infliggono i genitori. Vivono una seconda fase di genitorialità con i figli dei figli. Il rapporto tra loro è molto più disteso: non è attanagliato dal dovere o dalla responsabilità. 

Trasferiscono anche tante notizie, storie, ricordi, sia della loro vita che dei loro genitori. Attraverso una tradizione orale si trasmettono testimonianze significative, che restano indelebili nella mente e nel cuore dei nipoti. Raccontano vita vissuta con uno sguardo sui tempi che cambiano, consuetudini, usi e costumi. Detengono un patrimonio prezioso di vita di grande esempio per le nuove generazioni. E non mancano casi quando i nonni, per importanti motivi, prendono il posto dei genitori assumendosi la completa responsabilità dei loro figli. 

Mia nonna, da bambina, mi raccontava che c'era un giorno al mese in cui si incontrava con la nonna paterna per rammendare le lenzuola del corredo con strappi o altro. Immaginavo le due nonne a tagliare e cucire, ogni tanto un battibecco, mentre riducevano il lenzuolo in strofinacci rifiniti di orli e ricami. Era un vero laboratorio. Da adulta, ho preso anch'io quell'abitudine. Così come mio nonno mi ha trasmesso l'amore per la natura spiegandomi, durante le nostre passeggiate nei campi, come proteggere le piccole piante, i rami, la posizione da assumere per falciare l'erba o piantare semi. 

I nipoti di oggi sono tutti figli della tecnologia, con una grande abilità a muoversi tra questi aggeggi da far impallidire anche il nonno più moderno.

I nonni oggi più che le fiabe raccontano fatti, dialogano con loro come se fossero adulti. Ci sono bambine che insegnano "l'outfit check"  prima di uscire alle nonne, che prendendo esempio da loro, si guardano allo specchio, pronte per uscire, mentre fanno un selfie e controllano se la "mise" per l'occasione è giusta. E, se la beccano con un boccolo fuori posto, sono capaci di farle la piega in un baleno. 

Per non parlare della difficoltà dei nonni nell'acquistare i giocattoli. Molti sono rimasti a Mazinga, Voltron, al Commodore 64 o alle bambole classiche mentre oggi c'è ben altro, in gran parte giochi elettronici. I nonni trovano sempre il modo di accontentare i nipoti, mentre i genitori cominciano a mettere regole: quando e quanto deve mangiare, a che ora fare i compiti, a quante palestre e feste può recarsi e a che ora può guardare la TV e per quanto tempo, quando e se lavarli, con quale sapone, che tipo di sugo, quanto zucchero...

Diciamo anche che i genitori di oggi sono ossessionati da metodi, diete, cure per i figli secondo la moda, mentre non conta, per loro, l'esperienza dei nonni. È anacronistico approcciare metodi come quello della Montessori o di Steiner e bandire la realtà in cui vive il bambino con un accanimento nel seguire alla lettera protocolli non sempre migliori.

Le apprensioni non mancano mai, nemmeno con i nipoti, ma i tempi cambiano e ci sono atteggiamenti diversi. Ciò che una volta era normale oggi è fuori luogo. I nonni sanno regalare esempi, conoscenza ed esperienza. E dal momento che hanno già vissuto quello che preoccupa oggi i genitori, sono più distesi e relazionano meglio con i nipoti.





Domenica in cucina

 

                                                            



La domenica mattina, soprattutto di questi tempi, quando l'aria comincia  a raffreddarsi, il sole è più pallido e il silenzio avvolge la casa, mi piace fare colazione con calma. E mentre sorseggio il caffè, ascolto musica, guardo qualche spezzone di film, leggo le notizie del giorno.

Ma il cuore delle mie domeniche è la cucina. Ed è una vita che la domenica la vivo in cucina. Una volta come figlia ora come padrona di casa. Ho l'onere di decidere il pranzo, scegliendo piatti che piacciano a tutti. Così condivido le idee in merito per sapere cosa ne pensano gli altri e non manca, in questa fase, qualche battibecco sulla scelta del menù. Intanto c'è chi si sveglia e scompare, chi si alza a mezzogiorno e mi rimprovera di averlo svegliato con un rumore di pentole e coperchi a sbattere su tutti i fronti.

Impastare per me è quasi una cosa naturale. Che siano gnocchi, crepes, tagliatelle, pasta fatta a mano va sempre bene. La farina non manca mai a casa mia e mettere le mani in pasta attiva la parte più creativa di me. Mi copro con un ampio grembiule, raccolgo i capelli, predispongo tutto l'occorrente intorno. Una volta deciso il menù, c'è sempre qualcuno che mi chiede perché e per come abbia deciso così. Poi aggiungono che lavoro troppo, cominciano col dire che bastava un po' di pasta e una fetta di carne. Non solo mi metto al lavoro, devo anche sentire tutti questi convenevoli che non fanno altro che innervosirmi. Nessuno che dica:"Brava, desideravo proprio queste tagliatelle", oppure:"Gli gnocchi? Da quanto tempo, ottima scelta!" Più il pranzo si fa elaborato più aumentano le critiche:"Sei la solita esagerata!" Oppure:"Non ne potevi fare a meno?" Immaginate di lavorare con questi detrattori intorni mentre siete intenti a pesare la farina, sbattere le uova o scaldare le patate. 

E anche col piatto a tavola sono capaci di dire:" Ma non te la potevi risparmiare questa fatica? Li andavamo a comprare. Sei una masochista!"

La cosa più insopportabile è quando mi dicono, pochi minuti prima di mettersi a tavola, che non mangiano il primo, e qui la mia pazienza finisce. Questa è una storia da anni e io non sento più ragioni, accendo la musica e preparo senza ascoltare più nessuno.

Ogni donna trasferisce il proprio vissuto di quand'era piccola nella vita da adulta e  cucinare per me è sempre stato qualcosa di creativo sin da bambina. Certe immagini e ricordi restano dentro e si ripetono anche nelle epoche successive. A questo si aggiunge il carattere e allora non bastano gli gnocchi, ci vuole, oltre al secondo, anche il dolce e parte una torta di mele, un contorno elaborato, un piatto che non puoi fare negli altri giorni.

La domenica, per me, ha il sapore del piacere di preparare il pranzo per la famiglia dando al cibo un valore affettivo; della meditazione accanto ai fornelli, con i fuochi accesi, la musica, le pentole che gorgogliano, i profumi che invadono le altre stanze, mentre preparo tutto con cura.

E resto ai fornelli fino al pomeriggio inoltrato. Una volta cucinato bisogna pulire in modo approfondito, soprattutto se si è lavorato con la farina che si infiltra in ogni fessura, imbiancando come la neve. Dopo pranzo il divano accoglie le sieste di chi deve digerire, mentre continuo senza sosta a fare pulizie. Ai fornelli mi arrivano le più belle immagini, pensieri, ricordi, storie, come se cucinare fosse un'attività distensiva e non stancante. 

Tra le altre cose giro per il terrazzo a pulire i vasi, organizzo la lavatrice, ordino il bucato ritirato, lavo a mano, metto in ordine la casa. A questo punto la giornata è finita e sono anche stanca. La serata la riservo per le mie attività: scrittura, lettura, correzioni, qualche film.  

Appena scattano le ore 20.00 in punto, qualcuno comincia s stendere di nuovo la tovaglia per la cena. Poi si affacciano nello studio, dove mi rintano, per chiedermi se devono apparecchiare anche per me. Dopo due secondi hanno già tirato fuori l'impossibile dal forno, dal frigo, dalla dispensa: la parmigiana, la pasta al forno, il dolce e tutto quello che c'è di buono. E se dici loro che poco ore prima avevano detto che sarebbe bastato un po' di pasta e un piccolo secondo, mi rispondono che, visto che c'è tutto quel ben di Dio, non possono fare a meno di non mangiare, oltretutto sarebbe un peccato.

E così fanno fuori, in men che si dica, quattro o cinque ore passate ai fornelli!

Qualcuno potrà pensare che io cucini solo di domenica, invece il giorno dopo parte di nuovo la maratona, almeno due ore prima di pranzo. Il pranzo sarà meno elaborato ma sempre di ottima qualità. E se qualche volta si va al ristorante, per spezzare la routine, al ritorno mi mancano i miei piatti, la mia cucina curata anche per la scelta degli ingredienti, a cominciare dall'olio. E mi chiedo cosa ci abbiano fatto mangiare. In aggiunta la mia cucina sembra quasi inospitale, mancano gli odori e tutto ciò che resta nell'aria anche dopo aver pulito alla perfezione.

Cucinare è come amare, o ci si abbandona completamente o si rinuncia, secondo Harriet Van Horne.



Per aggiungere "Il mio sole" ai tuoi Blog e Siti Preferiti del web clicca questo rigo!

Benvenuti nel Blog dell'artista Filomena Baratto.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Filomena Baratto è presente anche sul sito artistico Dimensione Arte.

Cerca nel blog