Solo i sognatori leggono libri

 


Postare immagini stupende di librerie, libri affollati su scaffali, cabine telefoniche trasformate in salotti di lettura, faranno leva solo su chi è già abituato a leggere e ama i libri. Una folta schiera di gente non legge mai e mai lo farà. E anche tra chi dovrebbe, se può svignarsela, evita, sia l’acquisto dei libri sia leggere. La lettura non è né un passatempo né una perdita tempo. Molti la pensano in questo modo. C’è chi dice: ”Con tutti i problemi che abbiamo, ti pare che mi metta a sognare?” Ci sono poi quelli che, solo a vedere un libro, hanno la nausea, se poi è di molte pagine, lo guardano con sospetto, affermando: ”Che cosa avrà da dire l’autore in tutte queste pagine?”

E così passano il tempo a rompersi la cervicale sul display, frugando tra i social immagini sensazionali, storie truculente, guinness dei primati, stralci di film, imbonitori di piazza che propinano consigli, storie, fatti ritenuti molto più interessanti che qualsiasi lettura.  Se chiedete di un tal attore, di un calciatore, di un capo d’abbigliamento sapranno l’impossibile, ma se fate un discorso, di qualsiasi genere, manifesteranno un unico pensiero scambiato per dato oggettivo. Non c’è pericolo che possano cambiare idea, poiché non ne hanno altre all’infuori della loro. Questi tipi, al di là del titolo di studio, sono persone statiche, mentalmente parlando, non riescono a planare su nessun’altra idea che non sia la personale e vivono beati fino alla fine dei loro tempi, col pericolo che quelle quattro ideucce, di cui sono forniti, arrugginiscano pure.

Chi vedrà nella libreria la piacevole possibilità di leggere, è visto come un sognatore, ma forse sarebbe meglio dire un realista, poiché per sognare, dovrà leggere, quindi spendere il suo tempo tra le righe, immaginando i pensieri, rivedendo il passato, guardando al futuro, costruendo sulle basi acquisite per fondarci su una nuova possibilità di sognare. L’uomo sognatore leggerà sempre, perché è curioso, ha voglia di conoscere. L’uomo statico non vuole sconvolgere il suo sistema mentale, gli basta ciò che possiede, per lui leggere è un virus che indebolisce le sue difese.

A queste due categorie se ne aggiunge un’altra, ibrida, definita così poiché costituita da chi per i primi vent’anni di vita ha letto qualcosa mentre per i restanti ha vissuto con quella piccola rendita, credendo di conoscere il mondo. I libri letti a vent’anni, per quanto lascino un bagaglio, non dicono la stessa cosa di quando li leggi a quaranta, forse sembrerà di non averli mai letti prima per quello che di nuovo diranno.

Un libro è un mondo d’ispirazioni, di saggezza, di conoscenza, che non finisce mai di stupire. Senza accorgercene nella vita diventiamo quello che leggiamo e abbiamo fatto nostro. Un libro ci cambia radicalmente, senza scosse e quasi senza avvedercene. E in quel cambiamento siamo come rinnovati: più attenti alla realtà, alle cose intorno, alle persone. Sviluppiamo conoscenze e affiniamo atteggiamenti migliorando le relazioni, acquistando sicurezza, tendendo a correggere i nostri errori.  Il libro t’induce a confrontarti con gente che potresti non incontrare mai: prigionieri, sprovveduti, assassini, esploratori, ladri, magnati, principi, astronauti, con cui convivi per il tempo di lettura e indossi i loro panni. Alla fine avrai fatto quella piccola esperienza, che ti permette di abitare zone e fatti poco piacevoli o da sogno. E’ inutile dire mettiti nei miei panni a un tuo interlocutore se non ha mai letto. Come potrebbe farlo? L’empatia si sviluppa con la lettura, la curiosità, approfondendo mondi sconosciuti, i sentimenti vivendo le vite degli altri. Se restiamo ancorati nel nostro piccolo porto, da cui non partiamo mai, non conosceremo il mare né i pericoli che esso comporta né le bellezze che nasconde.

Per spronare alla lettura ci vogliono titoli di libri esplicativi come per esempio: Ti insegno a dire la verità, Il cibo non mi sazia d’amore, La cattiveria da qualche parte deve venir fuori, titoli che quando li pronunci, ti scuotono. Invece ci ostiniamo a dare titoli sintetici, contratti, talvolta anche ermetici del tipo: Uno sguardo rumoroso, qui chi vuoi che conosca gli aspetti della sinestesia, oppure Collisione, in che senso, con chi? Parliamo di mare, di terra, d’azione, di rottura, d’idee? Oppure Il ladro di cuori, è un rubacuori, ruba organi da impiantare, impedisce agli altri di vivere, è un rompiscatole? Per indurre a leggere ci vuole un’operazione dantesca: porgere un argomento in modo chiaro a tutti, allora sortirà un buon effetto su un novello lettore.

S’incontra anche chi, non avendo mai letto un libro in vita sua, a cinquant’anni ne comprerà uno per la prima volta, dopo averne sentito parlare in un programma televisivo stupido.


Le castagne

 



In questo periodo, chi abita alle falde di un monte, si ricorderà di quando andava a raccogliere le castagne.

 Ero bambina quando a casa si diceva: ”Oggi andiamo a prendere due castagne.” Oggi, stava per dire nel pomeriggio e due castagne per intendere almeno un cesto colmo per farci due infornate. L’immagine più ricorrente nella mente è di quando si arrivava al castagneto, subito dopo l’ultimo tornante della strada per Faito, con la macchina ancora in moto, scivolavo nel prato a raccoglierle e in un baleno ne riempivo un contenitore. Molte erano ancora nei ricci, chiuse ermeticamente, altre si affacciavano dal manto di spine appena scostato e ci si pungeva a volerlo forzare. E con la scusa di avere le mani ormai fuori uso, mi sedevo nell’erba umida e mi guardavo intorno. I miei raccoglievano con lena e quando trovavano un frutto più grande del solito, lo alzavano al cospetto degli altri a mo’ di trofeo. Non mancava, durante la raccolta, il confabulare di nonna e mamma che elencavano le pietanze o i dolci che ne avrebbero fatto. Mentre si confrontavano, io guardavo la buccia liscia, perfetta, di un marrone intenso, con quel ciuffetto all’estremità, a forma di codino, con cui tirarlo fuori dal riccio, quell’insopportabile involucro esterno. Nonostante pungessero, ne infilavo una rivestita di aculei con alcune foglie in tasca per i miei disegni dal vero. Era bello sentire, mentre sedevo nel prato, una castagna cadermi addosso, rompendo il silenzio, per poi posarsi tra le altre. Si riempivano i cesti fino a quando non ce la facevamo più a stare chini nel terreno e le mani non chiedevano pietà. La raccolta non durava mai più di un’ora, poi si andava a bere alla fonte, più su, ad ammirare il panorama prima di ritirarci. A casa se ne distribuivano un po’ anche agli altri. Di solito si mangiavano arrostite, poste su un fuoco ben avviato che il nonno preparava per tempo e dove le sistemava con cura. Restava lì fino a fine cottura per assicurarsi che non si bruciassero. Appena ce n’era una pronta, il nonno la tirava via, la puliva e me la dava. Io aspettavo paziente e la dividevo in tre parti: un pezzetto a me e due ai miei cani. Ogni castagna, stessa suddivisione. Una volta cotte, si raccoglievano in un cesto per consumarle a cena, ma spesso si tiravano dal fuoco per mangiarle calde. Le bucce ritornavano alla brace. Qualche riccio lo mettevo in bellavista sul tavolo e lo osservavo prima di rappresentarlo sul foglio e infine cominciavo con la mia sfilza di domande, come un botanico consumato. Devo dire che, più di tutte, mi piacevano le castagne delle feste: ben cotte, morbide, con un profumo particolare. A ogni festa di paese e nelle zone vicine, il nonno usciva a comprarmele. Si ritirava poi con questo sacchetto sonante, come i campanacci delle mucche, e me lo porgeva come fosse un pegno pagato. Le mangiavo insieme con loro e i miei cani. E già mi prenotavo per riaverle alla successiva festa.  

Questo rito è finito da un pezzo. Oggi ci sono mille modi di cuocere le castagne ma nessuno, tra quelli provati finora, mi rende la castagna di allora. Esiste una sorta di gabbia elettrica girevole in cui metterle e dove rotolano senza sosta, cuocendo senza bruciare; o al forno con le temperature combinate, o in contenitori che posti sul fuoco vogliono simulare la cottura di quelle arrostite una volta. E chi vuoi che vada a raccoglierle, sempre che si possa ancora farlo. Quando le vedo dal fruttivendolo, con le faccine sbiadite, una accanto all’altra, tipo scolarette nei banchi, senza i loro gusci dispettosi, un po’ stropicciate, ripenso allora e mi pongo mille domande: sono fresche, trattate, sono nostrane, arrivano dalla fine del mondo? Vuoi mettere le castagne raccolte con le proprie mani, pregustarle già dal profumo, e poi l’acquolina in bocca al pensiero di un dolce, di un marron glacè, di una cioccolata alle castagne…

Restano le feste a voler custodire i ricordi, tra gusto ed emozioni.

La castagna è diventata protagonista anche a scuola, col digramma gn e l’autunno. Quanti temi si sviluppano a scuola a parlare dei frutti autunnali, rendendo le castagne protagoniste di questa stagione, anche in ambito poetico: “Le castagne sono la pace/ del focolare. Cose d’altri tempi./ Crepitare di vecchi legni,/pellegrini smarriti (F.G.Lorca).

E poi canzoni:"Mangiamo pane e castagne, come una poesia, perduta nella memoria dai tempi di scuola. Domani ce lo diranno, cosa vorranno che sia, ce lo diranno domani, prima di andare via. Mangiamo pane e castagne, come una poesia, perduta nella memoria dai tempi di scuola (F.De Gregori).

"Nessuna città può gareggiare con Napoli nell'arrostire le castagne, diceva Marziale, poeta romano. (40- 104 d. C.)

Non c'è niente di più poetico delle caldarroste incontrate nelle fiabe e nelle storie, dove l'uomo, col suo bidone di brace su cui le cuoce, è posto al centro della piazza in pieno inverno, magari in prossimità del Natale, in attesa di riscaldare il cuore delle persone. Il calore e l'abbondanza sono i simboli della castagna, frutto conosciuto e apprezzato ovunque.

   


Al solito posto



Sono giorni che osservo, dal mio terrazzo, un'anziana donna che passa verso il tramonto col suo cagnolino e sale su per le Terme. Indossa sempre abiti scuri, un po' rotondetta, capelli bianchi tirati dietro. Arrivata proprio di fronte casa mia, si siede sul muretto di cinta. Tira fuori del cibo e lo lascia cadere sul marciapiede mentre il cagnolino razzola tutto. Si guarda intorno facendo attenzione che il cane non finisca in strada, trattenendolo con una cordicella colorata. Il cucciolo mangia e poi le gira intorno. Molto probabilmente vorrebbe continuare la sua passeggiata, ma lei è ferma lì a riposare perché stanca della salita affrontata. 
 È così dall'inizio dell'estate e quando l'ho scoperta, lì sul muretto, seduta come una scolaretta in attesa dei compagni, ha attirato la mia attenzione. Le prime volte immaginavo abitasse nel viale, ma mi sbagliavo. Arriva da una strada molto più giù della mia. Poi mi era parso di capire che andasse a prendere qualche amica poiché, dopo aver percorso fin oltre la mia casa, dopo un'ora scendeva sempre accompagnata da un'altra donna. 
Mi ha colpito il suo primo sorriso, quando è passata la prima volta. Si è girata verso di me, che ero in terrazza a innaffiare le piante, e mi ha sorriso. Anch'io le ho sorriso, come se fossimo conoscenti. Lei continuava a guardare come curavo i fiori.
 Passa ogni pomeriggio e  si siede al solito posto. Osserva la mia abitazione a lungo.
 Un pomeriggio ha attraversato la strada ed è venuta al mio cancello. Ho visto che leggeva sul citofono e poi è ritornata all'altro lato della strada. Non mi ha dato nemmeno il tempo di dire: "Si accomodi, le offro un caffè". Qualche volta cambio la mia postazione e qualche altra sono anche scesa per andarle incontro ma lei era già andata via. Ho avuto l'impressione con non volesse farsi vedere. 
 Avrà figli, marito, chissà. Me lo chiedo ma non potrò mai saperlo se non ci incontriamo. Ho notato che ogni volta che cerco di bloccarla per conoscerla succede qualcosa: una volta va via, un'altra il traffico mi impedisce di vedere l'altro lato di strada, un'altra sono impegnata per cui non posso guardare attraverso i vetri. E così, quando credo non sia il caso di soffermarmi più, accade qualcosa a farmi ricredere. 

Ieri è passata senza il suo cane, arrivata di fronte casa mia, si è seduta allo stesso posto e guardava su e giù per la strada. Sembrava triste. 

 Questa volta ha preso del pane dalla borsa e lo ha mangiato. Allo stesso tempo è passato un signore con un cane di grossa taglia e si è seduto accanto a lei. Sembrava si conoscessero. Erano all'ombra dell'albero e guardavano entrambi la strada. Lei ha buttato del pane per il cane ma il tipo forse non ha gradito, glielo ha impedito. Sono rimasti a parlare a lungo e ormai buio, si sono lasciati, andando in direzioni opposte. Oggi non l'ho vista e mi chiedo dove sia andata. È una presenza costante da molto e non vederla mi ha rattristato. Mi dispiace non aver avuto la possibilità di conoscerla e spero ritorni.

Nello sguardo dell'altro

 


Ieri sera vedevo una serie televisiva e, guardando una scena mi sono commossa. Più procedo nella visione, più mi commuovevo. A quel punto ho bloccato l'immagine e ho cercato di capire che cosa avesse di così particolare per farmi cadere in quello stato. Una semplice scena come ce ne sono tante in drammi d’amore. Sicuramente la bravura degli attori aiutava a entrare nel contesto, ma la bellezza era data dagli sguardi, dai movimenti delle mani impacciate, dai timori che nascondevano, dalla paura di sbagliare le parole e offendere l’altro. 

Non era facile, per il regista, far emergere questo contenuto, eppure ha sortito il suo effetto. Accade mai nella vita una scena così, dove vale più ciò che prova l'altro che noi?Ci soffermiamo mai sullo sguardo dell’altro, o sono più le volte che lo evitiamo. E se non puoi guardare l’altro negli occhi, non puoi capire. Più volte il protagonista alzava lo sguardo dell’amata, che invece cercava di abbassarlo, ma poi, quando lei  s’immergeva nei suoi occhi, non riusciva a staccarsene. E in quell’incontro non c’era bisogno di parole. 

La scena era di quelle innocenti, che anche i bambini avrebbero potuto vedere, senza smancerie, né sbaciucchiamenti o abbracci o tenerezze, solo il linguaggio degli occhi. La commozione nasceva dal comprendere che guardare nell’altro è un po’ guardare in se stessi. In qualche altro film o serie la scena avrebbe potuto avere un risvolto diverso, magari lasciarsi prendere dalla voglia di effusioni, silenzi, ma loro avevano il bisogno di leggersi, capire cosa provasse l’altro. Ogni paura si è sciolta nei loro occhi.

Questa sensibilità è fuori dalla nostra quotidianità. Correre durante le nostre giornate non ci permette di soffermarci su cose importanti, come quella di perdersi nello sguardo dell’altro. Rimandiamo costantemente a dopo, a sera, a domani, a poi vediamo. Scuse per sfuggire a verità più profonde. 

Ho ripreso la scena e sono rimasta ancora più colpita: il protagonista, con grande pazienza, assecondava le remore dell’amata senza replicare, o recriminare su qualcosa che gli spettasse di diritto. Ha risposto che aveva ragione, avrebbe atteso i suoi tempi. Altro blocco d’immagine. Mi chiedevo se fosse reale. Ma come, lui che era nel giusto, assecondava lei senza urlarle addosso che ormai la pazienza era finita? Sì, proprio così!

Ha proprio ragione Baricco quando dice che l’amore è qualcosa che ha a che fare con l’aspettare. Aspettare sempre…l’altro.

La scena rimandava al significato di amare, che tutti i baci e le carezze non possono dare se manca la cosa essenziale: esserci, capirsi, attendere, seguire l’altro.

Strano, queste cose non s’insegnano ma poi si comprendono subito quando le vedi perché rispettano interiormente la persona. Ti accorgi che quella delicatezza di modi e di ragionare, di comprendere, ti appartiene. E la commozione nasce quando si tocca profondamente qualcosa in noi.

Il silenzio

 



Nella mia vita ho imparato molto dai silenzi che gli altri mi hanno inflitto, da sempre, sin da bambina. Ne esce la vera personalità di chi te lo impone, si rivela a te meglio di qualsiasi altro discorso, emerge tutto il suo spessore umano. E’ vero, come diceva Cicerone, che è una delle grandi arti della conversazione, ma è eloquente solo quando è stato già detto tutto, quando non c’è alcun bisogno di parole. Molto spesso è un silenzio vigliacco, tanto più se arriva inaspettatamente. Non resta che riempirlo con le tue parole, le tue risposte, con quello che provi.

Arriva proprio quando ci vorrebbe una spiegazione, quando hai bisogno di chiarezza. Molti lo infliggono come una punizione, ma non sanno che comprendi il loro taciuto proprio per aver conosciuto molte persone che, come loro, hanno adottano la stessa strategia. Non sempre il silenzio funziona, può complicare le cose, ingigantirle o sottovalutarle. Trovo molto più intelligente chiarirsi che zittire. Molto facile lasciare agli altri qualsiasi conclusione pur di evitare il confronto. E non è vero che queste persone siano timide o non lo sappiano fare. Il loro intento è lasciarti al buio, come quando spegni un interruttore. 

La maggior parte delle volte li ho dovuti riempire io, ho dovuto capire, comprendere, soprassedere, ma poi arriva il momento che non ti frega più niente. 

 Arrivano anche se hai parlato molto, hai dato molte spiegazioni, volevi che gli altri capissero e invece dall’altro lato non c’era la stessa visione. Così impari che chi ti impone il silenzio, è indifferente, e non resta altro che cancellarli, come quando pulisci una lavagna. Il silenzio è d’oro quando dentro ci sono tutte le spiegazioni e le sfumature possibili di un discorso già fatto. 

Nei silenzi che avrebbero bisogno di chiarimenti, c’è una debolezza d’intenti, un egoismo di fondo, un abbandonare il campo, una piccola personalità , soprattutto, poco di quello si credeva ci fosse. Queste persone non possono fregarsene di ciò che attendi se al centro dell’universo ci sono solo loro.

E non si capisce mai così bene come quando ti mettono in stand by. Ci vedo una prepotenza, una cattiveria, un atteggiamento mafioso, come diceva Di Pietro, che abbassa ogni valore umano.

Te lo impongono quando non sono d’accordo con te, quando credono di essere stati offesi ma non s’impegnano a conoscere nemmeno le motivazioni del tuo agire, quando pensano di stare nel giusto, quando non vedono oltre il loro naso, quando non danno spazio al prossimo, quando sono convinti di avere le rivelazioni del mondo che non puoi capire. E' un modo di agire senza distinzione tra familiari, amici, conoscenti. Troviamo quasi vergognoso parlare a quattrocchi, come se spiegarsi fosse più indegno del silenzio. E così cadono dietro di me tutti quelli che lo adottano. L’insegnamento che danno è che prima credevi in cose che ti eri creata solo in mente, o vedevi solo tu. Il silenzio ti parla anche della visione dell'altro, seppur implicitamente.


La donna nella coppia


 

All'inizio dell'innamoramento si è in perfetta sintonia. Lentamente tutto prende forma meglio e si distinguono le cose cominciando a chiarire quello che prima era soffuso. Immancabili le scenate di gelosia che l’uomo non gradisce. C'è chi sbraita, chi indaga, chi diventa muta, chi fa l'offesa a vita. E le fa anche per la panettiera sotto casa. Lui è felice con te ma tu lo opprimi, magari se non l’ha guardata, la panettiera dico, andrà a comprare il pane per la prima volta col proposito di conoscerla. All’uomo non bisogna complicare la vita. Non creare film che non ci sono (ancora), tutto scorre liscio, là dove tu trovi solo sassi. Se non vuoi attentare alla sua pazienza, poi, non fare che debba attenderti, prima di uscire, come un pellegrino. Non basta ricordargli che ci tieni a farti bella, non lo percepisce, anche se ci sono uomini più vanitosi delle donne. Sii più semplice, sobria, ricordati che non sei una bambola. E se ha degli amici, non interferire mai con quello che dice o fa con loro. Dovrà pur avere una sua vita sociale e non dare spiegazione di ogni suo agire. Se ha deciso di farsi crescere la barba, di cambiare il profumo, abbigliamento, lasciagli la libertà di farlo senza pensare subito al peggio.

Se è arrabbiato, nervoso, non fargli il terzo grado perché vuoi sapere, a tutti i costi, il male che lo attanaglia. Ci sono momenti nella vita che non si vogliono condividere. E ricordati che non ha pazienza, non è nella sua natura e se lo trascini in un’uscita interminabile, durante la quale lo lasci in macchina, mentre tu girovaghi per i negozi, non puoi pretendere che, al rientro, sia integro mentalmente. Dopo il tempo rimasto ad aspettarti un minimo di reazione te la devi aspettare. In quel caso è meglio stare zitta e incassare.

Quello che proprio non ama l’uomo è quando ti impegni a fare l’investigatrice più della signora in giallo o Agatha Christie. Se vuoi conoscere qualcosa o qualcuna, chiediglielo, non andartene  a zonzo scomodando gli altri.

E poi ci sono quei momenti romantici che si passano insieme, così perfetti che lui non immagina gli rovinerai col tuo mal di testa. Sì, il fatidico mal di testa. Ce n’è uno per ogni occasione: per non uscire, per vedere se tiene a te quando non stai bene, per glissare su una situazione. Ma più di tutti gli altri non sopporta quello che arriva quando varchi la soglia della camera da letto e puntualmente lo lasci in bianco. Ripetuti nel tempo questi mal di capo atipici si sommano e diventano un capitale non speso. E se hai le tue ragioni per sprigionarlo, lui lo prenderà sempre come una scusa, che, tradotta in termini chiari, significa che non ci stai. Allora è inutile fare l’investigatrice sulla sua segretaria se poi lo allontani.

Altro argomento fondamentale all’interno della coppia è quello dei familiari. Se lui non va d’accordo con i tuoi, non devi rimproverarlo, ma evitare di far nascere un dissidio tra loro e creare premesse per facilitare il rapporto. Spesso i familiari diventano motivo di discussioni infinite soprattutto quando tu fai le differenze tra i suoi e i tuoi. E pensi che sia giusto che li sopporti in nome del tuo amore. Ama te non i tuoi, fattene una ragione.

E ancora non scherzare sulle sue mancanze, non dire al mondo che non ti porta il caffè a letto, dovresti poi aggiungere che esce prima di casa e tu dormi ancora, che ha il petto villoso e tu lo vuoi come l’attore turco, o che proprio non gli piace la palestra, che mangia troppa carne, che ha il costume sgambato e tu preferisci i boxer, che è maldestro alla guida e ha fatto già tanti incidenti. Ti puoi risparmiare tutte queste cose, lo metti solo in cattiva luce. E non portargli a casa dei pesetti, così, invece del sonnellino pomeridiano, si esercita come in palestra, vedendogli spuntare la tartaruga che non ha mai avuto. All’inizio ti piaceva? E adesso perché vuoi cambiarlo? E poi non fare mai quel giochetto psicologico di spostare l’attenzione su di lui fisicamente, per distoglierla da te. Magari hai messo tu massa grassa e vai all’attacco dicendo che quando vi siete messi insieme era proprio un figo. E tu? E se ti porta un regalo non scherzarci su: "Ah, mi hai portato la camicia trasparente perché vuoi dire che sono poco sexy?" Allora ti allontani da lui per una settimana, per fargliela pagare, poiché implicitamente e nemmeno tanto, ti ha voluto dire che devi cambiare. Potresti apprezzare, magari regalandogli una canottiera da contadino anni '50, quando gli uomini avevano muscoli veri e non di palestra, come nella pubblicità di “Antonio ho caldo”.

E dei figli, ne vogliamo parlare? Nell’educazione siete intercambiabili, inutile dire al ragazzo:" Quando viene papà facciamo i conti". Di che? Se il figlio sta con te, perché aspettare? Papà non è responsabile quando è assente, altrimenti  il figlio crede che lui sia l’ostacolo e tu  quella da raggirare. Quale autorevolezza hai se aspetti lui a dirimere un fatto accaduto sotto i tuoi occhi? 

Per quanto concerne la cucina, ogni tanto fai un pranzo classico e non super veloce perché tanto stai sempre in giro e con la scusa della parità lo metti a pane e acqua e, per mangiare qualcosa di decente, bisogna uscire.

 Ricordo poi che il regalo dev’essere sentito ed è inutile mettersi nelle orecchie per l’orologio ultimo modello o anello con la pietra perché se ne sei priva, ti senti inadeguata. Se anche ti portasse un filino di collana o solo delle margherite, devi esserne felice. E ogni tanto impara ad apprezzarlo anche davanti agli altri e non criticarlo al primo scontro con chiunque. Dire che è premuroso, è attento, sa comportarsi, ti vuole bene, fa piacere ricordarlo. E poi non farlo nero davanti ai suoi come a dire che hanno un figlio inetto e tu sei la migliore, perderai solo credito davanti ai loro occhi. Vi siete scelti da soli, non c’entrano i genitori e non sono responsabili di ciò che tra voi non funziona. 

Così se c’è la partita che non ami, inutile protestare, sai che gli piace e non puoi farci niente. 

E poi non fare l’inquisitrice con ogni persona che incontrate volendo sapere tutto come se fosse lì per rubarti il compagno che magari tratti pure male. E se qualcosa presumi non vada bene, parlane. Se è lui a portare i conti di casa non farai spese folli perdendo la cognizione del denaro e nemmeno sarai così rigida da lamentarti anche quando compri solo il pane.

Devi conoscere i suoi pregi, i suoi difetti e il suo lavoro. Una donna che non conosce parte della vita del marito, non è una vera compagna. Le difficoltà del lavoro, le sue paure, i suoi progetti devono essere priorità e non occasionali momenti in cui si apprende qualcosa. Investire sull’altro più con i fatti che non presunte preoccupazioni.

 

 

 


L'uomo nella coppia






Tutto comincia con parole magiche, quelle giuste, in un momento di grazia. Poi un bel giorno, vicino o lontano dall’inizio, ne scappa non una qualsiasi, che si può anche dimenticare, ma proprio quella, sì, quella che non avresti mai immaginato di sentire. “Che esagerazione, sono solo parole in un momento di rabbia”. Eh no, anche in quei  momenti si dicono cose sentite. Se hai detto proprio quella parola, l’avrai pensata almeno una volta, del tipo: sei come tua madre, non cambi mai, sei la solita, non capisci niente, ti credevo più intelligente. È un sasso che cade in un punto preciso e scava. In una coppia le parole hanno un peso: spesso sono troppe, sbagliate, inadatte, spiacevoli. Una volta che lei comincia a rimuginarle, a ricamarci su, a sentirle come una litania, lentamente ti toglie dal trono.

Ci sono poi quegli atteggiamenti infantili di fare la battutina cattiva, criticarla davanti agli amici, e far finta di niente. Subito la definisci permalosa, mentre si tratta di educazione e sensibilità che da parte tua mancano. Non resta che chiederle scusa, e non ricadere nello stesso errore. Replicare atteggiamenti scorretti con parole sconvenienti fa allontanare l’altra profondamente, pur restando insieme. La stima e la fiducia, una volta perse, portano via anche l’amore. Altra faccenda non apprezzare mai l’altra per quello che fa, così come criticare il suo aspetto fisico. Ci sono uomini che hanno compagne che vanno dal chirurgo estetico con la facilità con cui vanno dal parrucchiere e sono felici così, come altri adorano anche gli inestetismi della compagna senza farne un dramma. Ora se lei non ama la chirurgia estetica, non puoi ogni giorno dirle che è ingrassata, deve curarsi di più, è come se le stessi chiedendo di diventare un'altra persona. Sicuramente è molto più facile notare lo stato della pelle che non dell'animo. Mai che si chiedesse: "Come stai? Come ti senti? Hai qualche preoccupazione? Posso fare qualcosa per te?"

Anche tu invecchiando sarai brutto e brontolone, con la pancia, un po’ curvo, la pelle cadente e perché lei deve assuefarsi alla tua decadenza e tu rinfacciarle che è cambiata? Ci sono modi eleganti e civili di aiutare l’altra a curarsi, o a perseverare in un intento.

Molte liti accadono anche a tavola. La dieta è diventata un punto di scontro e molti si lasciano anche per questo. E se davvero non sapesse cucinare, insieme si può imparare.

Altra storia quella con i figli, funestata da battibecchi e ripicche. Litigando al loro cospetto, i figli prendono il sopravvento. Sono bravi a capire l’animo dei genitori e a soggiogarli.  E poi c'è il termometro dell’amore, il letto. Da quelle parti, molto spesso è l’uomo che detta e la donna esegue. E se un giorno le abitudini precedenti non sono più gradite, è come se si spezzasse un incantesimo. Com’è, prima sì e adesso no? Cos’è cambiato? Forse ha detto sempre sì per accontentarti ma non era d’accordo, e ora proprio non vuole. A quel punto dovresti fermarti, tu uomo, e capire le motivazioni non per girarle a tuo favore, ma per andarle incontro. E invece cosa accade a questo punto? Hai l’alibi per fare quello che avresti sempre voluto. Non si tratta di meccanica ma di alchimia, poiché concorrono più fattori per esprimersi in quel senso. In questa fase si dovrebbe ripensare a quelle prime parole sussurrate sottovoce, chiedendosi se fossero sincere.

Prima di stringere una relazione con un’altra persona, assicuratevi di non aver lasciato in voi niente d’irrisolto. Quando non si sta bene con se stessi, è difficile tessere una relazione con gli altri. L’uomo che ama, ascolta, si prende cura della compagna, si fa in quattro per essere presente, partecipa alla vita familiare, le è vicino nei momenti difficili. I vili, gli impazienti, i compulsivi, gli aggressivi, i narcisisti difficilmente stabiliranno rapporti sani. E le donne non devono credere che col tempo l’uomo migliori. La visione che avete di lui il primo giorno in cui lo avete incontrato, sarà così per il resto degli anni, se non peggiora. 

Quello che proprio non va giù alla donna è di dover interpretare il compagno che spesso cade nei suoi silenzi, senza dare spiegazioni, a mo' di punizione. Atteggiamento reprensibile poiché, invece di far crescere la relazione, la fa regredire.

Poi ci sono le parole magiche che vi aprono un mondo: chiedere scusa subito, ricordarsi di festeggiare gli eventi, senza far finta di aver dimenticato, trovare dei momenti lontani dalla quotidianità,  fare regali che sentite di fare, anche piccoli: un mazzo di fiori, un oggetto per la casa, qualcosa di rilevante per entrambi. Scoprire poi le virtù dell’altra e dirglielo, gratificarla, collaborare anche alla sua realizzazione senza ripetere, dopo che ha raggiunto il traguardo, come un mantra, che è opera vostra. Stare attenti a ciò che si dice e, nei momenti di rabbia, zittire, potreste dire cose di cui pentirvi amaramente. Cercare di finire la giornata senza portare il broncio. Ogni cosa va risolta subito. Se vi conoscete e sapete qual è il vostro punto critico, è bene lavorarci su prima di addossare le colpe all’altra. Pensate alle cose belle del vostro rapporto e non ai momenti di scontro, soprattutto quando siete arrabbiati. Insieme ci si educa. 

 

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