Lavoro di Molly Gambardella
Sin da bambina ho amato i colori. I pastelli avevano il potere di colorare la realtà, trasformarla o crearla a mia misura. Non era per estraniarmi ma per mettere radici in essa e declinarla, arricchirla, rafforzarla. E pur tenendo gli occhi aperti, sognavo. Non solo davo vita al disegno, ma stendevo sul foglio una rappresentazione lasciando agire i personaggi. Da qui forse anche la passione a
scrivere. I miei eroi dovevano parlare, vivere, realizzare i loro sogni. A lavoro finito spiegavo agli adulti quello che proponevo e i loro"perchè" avessi fatto in quel modo o chi fosse il tal personaggio, erano, per me, lo stimolo a farne altri, dando vita ad altre narrazioni.
Sin dal primo appoggio della penna sulla carta ricordo anche i pastelli. All'inizio li utilizzavo per la loro delicatezza anche quando scrivevo: avevo l’illusione di non stropicciare il foglio, di poter cancellare meglio o di rendere con i colori le parole più intense. Le mie scatole "Giotto" erano da sei, dodici, o trentasei. Conoscevo i colori e li confrontavo con le cose reali. Spesso mi alzavo dal tavolo per portare il pastello sul pane, accanto all’uva, sulla bottiglia, sulle mele, per verificare la tonalità reale. Quando non mi convinceva, sfumavo, o ne sovrapponevo un altro, o cancellavo per alleggerirlo. Temperare era sempre una tortura: vedere sotto gli occhi il pastello assottigliarsi mi faceva star male oltre a farmi sentire in colpa. Lo avevo ridotto io in quello stato! Allora era tempo di metterlo a riposo. Quando li riponevo, dovevano essere tutti temperati e allineati. Il disordine nasceva sul tavolo quando cominciavo le mie sedute artistiche. Mi concentravo solo sul foglio, tirando fuori, senza guardare, quelli che servivano. Alcuni cadevano a terra, qualche altro finiva sotto un mobile e, pur accorgendomene, aspettavo di finire. A lavoro ultimato avevo sotto gli occhi quella che di mattina era solo un’idea, lasciandomi stanca ma soddisfatta. Tutte le mie energie convogliavano sul foglio. Usavo pastelli, dita, penne, molliche di pane per schiarire. Col tempo il materiale aumentava con righe, righelli, compasso. Era il tempo delle proiezioni, del punto di fuga, le strade con gli alberi in lontananza, l'orizzonte da definire, i dettagli da esaltare, i colori da ravvivare in un disegno sempre più preciso e dettagliato.
Poi sono arrivate le scatole di pastelli professionali, al disegno si aggiungeva la pittura e le mie librerie nascondono, ancora oggi, fogli e fogli di prove, di studi da riportare su tela e disegni di particolari da studiare. I pastelli sono sempre stati oggetti preziosi per me. Il miglior profumo che avessi mai avuto era quello dei colori stemperato addosso, che si spargeva nella stanza quando disegnavo. E ancora quello strusciare o sfregare ora con mano leggera ora più a fondo sul foglio, che girava sotto le mani e che finiva solo quando non c'era nessun altro spazio da riempire.
Eppure quando vedevo amici e compagni con kit superaccessoriati di ogni tipo di colori, per me restavano scatole vuote e senza calore: non le aprivano mai per non consumare i pastelli. Non erano esplorate come le mie quando tiravo tutto fuori e riponevo solo alla fine. Facevano la loro figura di accessorio scolastico a mo' di suppellettile. Le mie erano attive, fremevano sotto le mie mani e tra le dita, sapevano cosa stavano raccontando o cosa colorare, a chi stavano dando vita. Sapevano di quel profumo che, sin da piccoli si identifica con la scuola. Spesso gli stessi compagni, che avevano queste valigie da architetto, mi chiedevano di disegnare per loro e in due minuti vedevano sotto gli occhi la realizzazione di quanto richiesto. Poi, osservandoli come si approcciavano al foglio, invadendo gli spazi con un colore che non si addiceva o fuoriuscendo dai bordi, e trasformando quel disegno, che avevo fatto con tanta cura, in qualcosa di indecifrabile, coloravo io.
Ricordo anche che quando temperavo i pastelli, raccoglievo i pezzi dal temperamatite come fossero lenzuolini in miniatura da
conservare. Avevo la scatola dove adagiarli per riutilizzarli in una sorta collage al disegno, trasformandoli in ombrelloni, ventagli, vestiti femminili o
coperture di tetti. Tra l’altro rendevano il disegno tridimensionale lasciandolo emergere dal foglio.
Il mondo per me è sempre stato a colori e l’arte il luogo dove vivo a mio
agio. Tutto nasce dal niente, da un colore o da una parola. Che sia scrittura o dipinto i colori entrano prepotentemente in ogni lavoro. Oggi i pastelli mi accompagnano anche nella scrittura o nella lettura, come quando sottolineo le righe con sottilissime linee di colori diversi per ricordare una frase o voler evidenziare qualcosa di interessante o di nuovo, qualche sinestesia od onomatopea o altra figura retorica. Sulla scrivania ci sono sempre due portapastelli stracolmi che quando scrivo mi fanno compagnia, ispirandomi con quelle punte colorate rivolte in alto. A volte, quando sono al telefono, disegno qualche ragnatela e riempio i suoi spazi di colori diversi, trovandomi alla fine con un disegno che ritaglio e infilo in qualche libro.
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