Tutti mi chiedono chi sono, ma io come faccio
a presentarmi? Cosa devo dire? I miei nonni, i miei antenati, i "contra nomi",
cosa ho fatto, i miei pregi, i difetti? E’ sempre imbarazzante parlare di sé e si
resta senza parole quando ti chiedono:” Tu a chi sei figlia?” Ovviamente non basta dare il nome del padre, si
chiede di più, allora si vuole il “contra nome” come si dice da queste parti, della
famiglia e visto che le famiglie sono due, bisogna parlare di entrambe. Poi si
passa ai fatti eclatanti accaduti, le
cose di dominio pubblico e tutto quello che basta a individuare perfettamente i
genitori. Mi sembra di passeggiare tra “Uno nessuno e centomila” di Luigi
Pirandello. Però mi va di darvi un piccolo assaggio di chi sono, sempre che riusciate
a seguirmi.
Sono
nata nel mese di marzo, faceva freddo, mia madre a letto, stufa a gas in un angolo, le nonne a beccarsi per la
disputa sulla mia somiglianza. L’ostetrica era per strada,
l’orario, indecente: le due di notte. Sui lamenti di mia madre si innestavano i clamori delle
donne: chi voleva una bambina, chi un maschio. Questa la prima querelle. La
seconda fu quella del nome. In ogni famiglia che si rispetti i nomi dei nonni sono tenuti in considerazione. Quando giunse l’ostetrica, mia
madre era ancora in alto mare e allora
le nonne dovettero trovarsi un intrattenimento. Cosa scelsero? Non ci
credereste mai, perché disquisirono sul dolore. Io già inorridivo solo a sentirle e forse fu
per questo che tardai tanto, non volevo capitare in mezzo alla questione. Intanto
mio padre si dileguò, non voleva intromettersi in "cose da donne". Andò via
sicuro di avere il suo bel maschio, premio di tutte le ansie mal celate tra
l’altro. Vi lascio immaginare venire al mondo tra quattro donne indaffarate e sapere che mio padre aspettava un maschio. La mia nonna paterna
aiutò mamma a partorire e pur essendo la suocera aveva un fare amorevole. Mi
sentii strattonata a più non posso, volevano a tutti i costi che togliessi
d’impaccio mia madre da quella situazione, e io, refrattaria alle loro
interferenze, attesi con comodo e quando mio padre fece capolino dalla porta,
sbucai fuori come una refurtiva capitata in un sacco. Nacqui senza capelli e
mia madre me lo ha sempre ricordato, e
pensare che ora ne ho tanti forti e lunghi. Tornando a quel sei marzo,
mio padre come entrò, così uscì. Lui voleva un maschio, ma nacqui io e fui la
più grande delusione della sua vita. Perché vi chiederete, bene, il maschio
avrebbe preso la sua attività, avrebbe continuato il nome della famiglia. Queste erano le considerazioni di mio padre che, di punto in bianco, girò
i tacchi e andò via.
Secondo
round della mia nascita, mentre l’ostetrica mi lavava e mi preparava e mamma
veniva messa a riposo, le due nonne cominciarono a discutere sulla somiglianza.
Un argomento principale che non lascia in pace nessuno e si fanno riferimenti
fino alla settima generazione pur di trovare qualcosa di attinente con un
parente di famiglia. La nonna materna diceva che ero tonda come mamma al che
insorse la nonna paterna affermando che poteva dire quello che voleva, ma ero
la testa tagliata di mio padre. Come se non bastassero le parole, cominciarono
con le foto. Una di papà, una di mamma, cacciate dalle rispettive nonne che
tiravano fuori, segno che erano venute preparate per la guerra, e
sbattendole in faccia all’altra, invitavano a vedere la somiglianza. Se non
ci fosse stata l'ostetrica a dirimere la questione, le cose avrebbero sortito
un brutto effetto. Alla fine la malcapitata disse loro che la genetica si esprime
per geni dominanti presi da entrambe le parti e quindi di stare buone. In
quanto a me, stavo benissimo, mostravo forza e soprattutto, a detta di tutti,
fulminavo con gli occhi. I miei occhi sono stati sempre oggetto di discussione
in famiglia: mia madre li vedeva lo specchio del mio carattere, mio padre
cominciò ad amarmi dopo aver visto che i miei occhi potevano tranquillamente
scambiarsi per i suoi (quanto siamo vanitosi), quando tardavo a
dormire, facevano riferimento ai miei occhi che sembravano dei fari accesi nel
buio e mia madre mi ricordava la cosa con parole del genere: "Chella nu tene gli
uocchie ma doje feneste aperte, spalancate …semp!" Le metafore su questa parte
del mio volto si sono sprecate, non solo in famiglia. Ancora oggi, mio padre
quando mi vede, si affaccia nei miei occhi
dove dice che vede chiaro. Ed io gli rinfaccio che intanto mi preferiva
maschio. Lui si rifà dicendo che mi vuole bene e io gli rinfaccio che non è
vero. Gli ricordo che quel sei marzo ha abbandonato la casa della partoriente,
che sarebbe stato bello se fosse stato
presente. Ma lui mi guarda come un cucciolo e mi ricorda che mi faceva il latte, mi coccolava,
mi imboccava, mi portava a spasso ed io di rimando rispondo che poi ha capito
che una donna poteva fargli comodo e lui mi ha risposto che una donna è una
miniera e quando sono nata non capiva niente. Ma quando gli ho chiesto se
adesso capisce di più, mi ha risposto che non ce n’é bisogno, adesso sono io
che devo capire lui.
Vi
ho lasciato un momento da soli nella stanza con la mia mamma tutta dolce e
serena con me tra le braccia che sembravo un angioletto. Non ho mai dato
fastidio da neonata, mangiavo, dormivo e osservavo. Mia madre diceva che forse
gli occhi mi sono sempre serviti per guardare in modo così attento. Fortunatamente
giunse mio padre che per l’ennesima volta
faceva per guardarmi ma gli mancava il coraggio. La madre lo invitò dicendo che aveva fatto un buon lavoro, mio
padre rispose che il vino del padre era stato testimone, ma la nonna materna
tenne a dire che anche il pollo ruspante aveva fatto la sua parte. Insomma ero frutto
di alimenti genuini, ma arrivati agli occhi si fermò la discussione, poteva
parlare solo mio padre che aveva visto quanto gli assomigliassi e parlò come un
oracolo dicendo che avevo due lanterne. La madre voleva sapere quali e papà
rispose quelle fuori al balcone con la luce da cento gradi, la nonna annuì ma
si avvicinò toccando il mio naso per appurare se fossi come una lanterna. Lei
ebbe a precisare che più di una lanterna i miei occhi erano luci di una nave
nel porto, e papà le rispose di si, ma quando sono tutte accese. Queste storielle
me le ha raccontate la nonna materna quando voleva farmi capire a chi assomigliassi. Quando, oggi, chiedo a mio padre di definire il
colore dei miei occhi, risponde: "Comme nun sai o culore e gli uocchie toje? Sono castani, no verdognolo, ma che dico verdone, vanno sul verdone!" "Ma chi
Carlo" gli dico? "Il regista attore?" "Ma che dici, dico di colore, ce l’hai
verdone". E poi a ridere. Non si è mai sentito verdone come colore degli occhi.
Bene,
tra le notizie importanti che vi ho fornito sapete due o tre cose: ho gli occhi
grandi sul castano, sono nata il sei marzo e ho fregato tutti perché
volevano il maschio. Se avrete pazienza, saprete il seguito.
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