C'è chi le storie le scrive e chi le vive, ma tra scriverle e viverle c'è di mezzo l'esperienza. Non si scrivono storie al posto della vita, o non solo per sognare. Si scrive per liberarsi di un'esperienza, per costruire su di un'esperienza e per proiettarsi in un'esperienza.
C'è chi è assuefatto alle continue letture tanto da non saper vivere la realtà che può sembrargli un altro pianeta; c'è chi leggendo fa crescere le sue proiezioni mentali tanto che non riesce a far a meno di fantasticare. C'è anche chi fa della letteratura una nostalgia volendo ritrovare quello che non ha più o qualcosa di nuovo a cui tendere. La migliore ricetta è quella di conoscere per vivere più della nostra vita, per vivere vite che non possono essere per noi e così facendo ci arricchiamo anche di storie. A lungo andare e con tante esperienze, possiamo diventare cinici o indifferenti. L'indifferenza è un sentimento che non deve attecchire, ci rende amorfi e inutili. Il vero lettore e il vero scrittore sa sempre meravigliarsi e incuriosirsi. Per lui non ci sarà mai fine a quello che può insegnare la letteratura, non si è mai completi, mai sazi. Ed è proprio la fame di sapere che la letteratura si prefigge di colmare. Si scrive per colmare questa curiosità, questo chiedersi "cosa farei se fossi in questa situazione, cosa manca a questa esperienza, ci sono cose che non conosco e posso sapere attraverso le esperienze degli altri". A volte si può conoscere anche solo riportando un fatto vero, nel trascriverlo si impara, si capisce, si comprendono tante cose. D'altra parte tutto è nato con la scrittura e scrivere è il nostro vivere raccontato che lasciamo agli altri. Chi viene dopo di noi avrà un mondo da vivere e da leggere e in quella scrittura c'è quel che resta di noi. Nessuna esperienza vale veramente fino a quando non la svisceriamo ben bene e resta appiccicata alla carta per poterla rivivere. E in questo turbinio di vivere, scrivere, leggere e rileggere, s'impara.Si scrive e si legge anche per educarsi.
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