A volte le fiabe non sono lontano da noi, forse le viviamo e
nemmeno ce ne accorgiamo che sono tali. Ci affanniamo a cercarle nel passato, mai
nel presente, a cui diamo solo valore di servire a creare il futuro.
Questa è una storia al contrario. La realtà è diventata
fiaba, perché la storia è così interessante che nemmeno ce ne eravamo accorti
che fosse più di una fiaba.
C’era una volta un principe un po’ confuso, maldestro e
fannullone. Gli piaceva la bella vita, il perdersi tra i piaceri, i sogni
troppo alti, come se la giovinezza durasse in eterno. E così passava da una
cosa all’altra senza tanto sforzo, dando spinta solo a quello che voleva. Una
vita così era per lui il modo di sentirsi addosso l’eternità. Poi un giorno accadde
qualcosa: delle streghe con un maleficio lo fecero cadere in un burrone dove
c’erano tante pietre aguzze da cui non
poteva più alzarsi, né salvarsi. Scoprì il dolore, la fatica, il sacrificio, il
malessere, sentimenti di cui, fino ad allora, ne aveva solo sentito parlare. Si
vivono le esperienze quando accadono
sulla propria pelle, e allora il loro peso diventa di piombo. Perse tutto e si
trovò solo come non lo era mai stato.
“A che serve il dolore, si chiese il principe. A soffrire e
basta, è stato creato per frenare la vita degli uomini, per scoraggiarli, per
castigarli. Qualcuno vuole il nostro male, ci perseguita. E pensare che stavo
così bene quando credevo di star male. Che crudele destino”. Il principe si
convinse che la vita gli fosse sfuggita di mano per volere di qualcuno. La sua
forza scemò e tutto quello che voleva ora, era cambiare, avere cose durature,
che non gli procurassero tutto quel dolore. Un moscone che gli ronzava intorno
e lo infastidiva, più volte cercò di spezzare il suo discorso volendogli dire
qualcosa, ma il principe non glielo concesse. Quando finalmente zittì per
qualche minuto, l’insetto gli disse: “Voi principi che cosa ne sapete di una vita di sacrifici, vi lamentate solo quando
arrivate qui, nel dirupo. Io ne so qualcosa. Prima di qua sono stato in luoghi
lussuosi e ho toccato il tuo cavallo e il tuo prezioso mantello e quando eri
tutto abbigliato, non ti lamentavi così come stai facendo. Però, vedi, se non
fossi caduto così in basso e non avessi toccato il fondo, non avresti capito il
senso della vita”. “Dici bene tu che vai per il mondo e ti appoggi su ogni
cosa. Tanto ora non serve più a nulla, sono quaggiù, nemmeno i miei sanno, non
potrei nemmeno dirglielo. Resterò qui relegato”. “Non è detto! Potresti
allenarti e fare un passettino al giorno fino a raggiungere la vetta. Porre dei
sassi sotto i tuoi piedi e ogni volta salire un po’ fino a raggiungere il
terreno della radura”. Il principe più sconfortato che mai, cominciò a seminare
quelle parole dentro di sé facendone tesoro.
Le forze gli mancavano, a tratti
si avviliva, ma i sermoni del moscone furono per lui un conforto inaspettato. Cominciò
a salire. A volte ricadeva per mancanza di fiducia in se stesso, altre volte
per la forza che perdeva, ma sempre riprendeva a salire, fino a quando un giorno
raggiunse la cima del burrone. Incredulo, si aggrappò a un ceppo di legno nei
paraggi e si riposò. A quale costo era arrivato lassù? Ormai era malandato e
stanco, senza voglia di vivere. E mentre questi pensieri bui lo attanagliavano,
l’eco di un canto lontano giunse fino a lui. Era così piacevole, che quando
smetteva, non resisteva al silenzio. Quel canto lo attirava di nuovo alla vita. Allora si alzò e seguì la voce, fino a
quando giunse in riva al mare dove, in una barca ormeggiata, c’era una
principessa. Lei cantava mentre pettinava i suoi lunghi capelli. Il principe le
chiese da dove giungesse e lei gli rispose di venire dall’altro lato del mare.
Così il principe salì sulla sua barca e andò con lei, volle conoscere il suo
paese. Farah, questo il nome della principessa, lo portò al di là del mare e
quel posto gli sembrò bellissimo. Poi chiese alla principessa di riportarlo
nella sua terra. Ma quando giunsero e dovettero staccarsi, loro due non
vollero. Allora toccò a Farah conoscere la terra del principe, e che a lei
sembrò bellissima. Dopo aver conosciuto il mondo di entrambi, un bel giorno
decisero di sposarsi. Il regno aveva bisogno di loro due. Fu un matrimonio come
vuole la tradizione fiabesca: cavalli, carrozze e abiti scintillanti. La bella
principessa fu al castello col principe per celebrare le nozze col suo amato.
Giunsero da ogni parte a vederli e molti rimasero meravigliati. Poi, come
avevano festeggiato al castello del Principe, andarono anche a festeggiare nel
paese di Farah.
Quando ritornarono al castello, il principe, felice, volle
piantare dei fiori sul terrazzo della principessa, ma per concimarli dovette prendere
dello sterco. Così, subito dopo, attirato dallo sterco, arrivò il moscone che era
stato con lui nel burrone.
“Eppure non avresti mai pensato, allora di poter poi piantare
questi fiori, quando eri laggiù con me.” “Fai bene a ricordarmi quando ero lì.
Ti ho ascoltato compagno di sventura, e hai avuto ragione. La lezione è che se
non si tocca il fondo non ci si può dare alcuna spinta buona per emergere. Sei
stato il mio aiuto, tu che salti di cosa in cosa e sei così precario”. Ti ho
seguito mio principe, a volte seguo anche l’odore della felicità. Ora hai una
principessa che si prenderà cura di te e tu di lei. Abbine cura e non
dimenticare i buoni consigli ricevuti.
La favola tra il principe e la principessa comincia adesso,
nel presente.Una fiaba con su scritto “work in progress.”
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