C’è un posto tra queste colline
dove mi piace stare a contemplare il
panorama e ammirare il mare fino all’orizzonte. Davanti c’è un grande pino
marittimo, come quello delle cartoline di Napoli, oltre, il mare, dietro di me,
Faito. Mi sono sempre chiesta perché sono nata in un luogo e non in un altro e
perché proprio qui.
Una di quelle domande stupide ma che tutti ci poniamo prima
o poi. Sicuramente siamo anche il risultato del luogo dove abbiamo vissuto. Forse dipendiamo da quanta luce o quanto sole
abbiamo preso, o forse dall’aria di mare respirata o anche da quello che
abbiamo intorno, dai colori, dagli uccelli, dal panorama. Siamo il prodotto tra
l’ambiente e noi. Non sappiamo quanto
sia vero, ma sentiamo che qualcosa di simile deve essere. E se è vero
che le piante hanno un’anima, devono molto alle nostre risate, alle nostre
esclamazioni di stupore, o di incanto così come i nostri silenzi ricchi di
adorazione. Crescono con le nostre carezze fatte di sguardi, di affetto, di
entusiasmo per la vita. Se solo mancasse questo mare o l’azzurro del cielo o la
montagna rocciosa e boschiva o la folta vegetazione, sarebbe come essere di qualcosa. Posta in questo
preciso punto tra mare e collina, con la
montagna alle spalle, mi sento in una posizione strategica. La cosa più bella e
stupida che faccio è respirare, come se volessi bere l’aria, mangiare i fiori e
le piante, introitare forme e colori. Riesco, dal ciglio della siepe, a vedere laggiù
lo specchio carico di azzurro e dentro i
raggi del sole, attaccati ai bordi i cespugli folti che si innalzano verso il
cielo, rami isolati che emergono dalla folta vegetazione come se nascessero dall’acqua
subito prima dell’orizzonte, e sopra il pino che copre tutto. Che vista impagabile! Non importa se col sole o con la pioggia, il
vento o il cielo in burrasca. Lo scenario è straordinario in ogni stagione e in
ogni momento della giornata. Con le mani quasi tocco la spiaggia, con gli occhi
il monte, nel mezzo io. Non basta, c’è il profumo dell’erba, il sapore di sale
nell’aria di mare che leviga il viso e quel pizzicore sulla pelle tra brivido e
leggero fresco; il profumo asprigno dei fiori di siepe, di ortica e di giovani
pampini. Intanto strappo fili d’erba, fiori, margherite, rametti di rosmarino e
cento altre erbe che non saprei nemmeno annoverare. Da questa posizione
riconosco il mondo. Il sole solca il cielo e si tuffa laggiù all’orizzonte come
un ubriaco che non regge alla sbornia. La montagna è una sequenza cromatica di
colori in base all’ombra, lasciando scorgere la macchia verde che la copre a
tratti alterni, la roccia di colori vari e tenui confondendo i verdi con i blu.
Se solo si potessero vedere le sfumature che la casa accanto acquista al calare del sole, si farebbe un
torto ai pittori in difficoltà a riprodurre fedelmente la calda sequenza. Anche
il colore della terra assume una tinta regale, come fosse cioccolata fondente e
là le piante giovani dell’orto, tante chiare tonalità confuse alle prime punte
di ortaggi che spiccano tra i filari. Qui, in questo posto, sento la natura
vibrare all’unisono col mio respiro e non so se sono io che aspiro o è lei che
mi ingloba. Quassù le stelle hanno un aspetto insolito: tante lucciole ferme
come in un viale, abbarbicate ai rami dei cespugli, dando la loro luce a
intermittenza e il buio di un blu intenso fascia la notte come un vestito
prezioso. “La bellezza è negli occhi di chi guarda” diceva David Hume e noi siamo i luoghi che
viviamo. Li abitiamo, li indossiamo e diamo loro forza con i nostri occhi.
Questa collina è il posto in cui vorrei stare
per sempre. Che altra bellezza si chiede a un luogo che dona la meraviglia
se non quello di viverlo all’infinito?
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