Oggi che
il mondo corre veloce e ogni cosa cambia
in breve tempo, affidiamo alla carta i passaggi della nostra vita. Carta canta!
Le parole devono avere un luogo, non basta più proferirle, si sa, verba volant, dicevano i Latini, scripta manent. Ma da un po’ di tempo alle
carte abbiamo dato un archivio: il computer e tutto finisce lì dentro. E’ uno
strumento di vita sociale, un contenitore, un fortino. Urge catalogare,
conservare, mettere agli atti, informare, mantenere. Eppure si tratta di un
parassita che si ciba della nostra intelligenza prendendosi ogni foglio su cui
depositiamo i fatti. Il danno che ci rende è quello di farci perdere la
memoria. Scatti una foto? E la immagazzini qui dentro, e poi la potrai vedere
solo in miniatura, mai tra le mani in una bella carta color come si usava una
volta. Il posto migliore per tenere le foto non è nel buffet o il cassetto
della libreria, ma qui dentro. Scrivi a un ente? Non devi proprio disturbarti a
mandare il protocollo per posta, qui dentro ci sono caselle, box, celle, che
possono contenere le nostre produzioni giornaliere. I francobolli hanno finito
la loro carriera, sono diventati pezzi da collezione. Una volta tra francobollo
e carta c’era un rapporto d’amore e la sua fine era lì tra le braccia della
busta, e mai ci fu cosa più eterna se ricordiamo come si tenevano i resti delle
missive. Sono sopravvissute alla guerra, agli amori, ai cambiamenti. C’erano le
più belle parole, scelte con cura ma soprattutto col cuore. La carta
raccoglieva un corredo di emozioni e, ogni volta che si rileggevano, era come
averle scritte in quel momento. Oggi il computer fagocita senza sosta. Eppure il consumo di
carta è aumentato, per forza, se poi quello che immettiamo dovrà uscirne
all’occorrenza. Allora vomita atti, richieste, lettere, notizie, modelli, è un
continuo emettere quello che gli affidiamo. Ma a chi servono tutti quei file che
si scrivono e che mai nessuno andrà a vedere, che nascono per tutelarci e
finiscono per non essere nemmeno conosciuti? Abbiamo creato un cimitero
infinito di tempo, di creatività, di scritti vari, di relazioni su relazioni,
di articoli su articoli, di gran lunga superiori a quelli che leggeremo o
conosceremo. Molti tra questi dormiranno sonni beati, nessuno mai ne prenderà
atto. Stanno lì per tutelarci, dove troveremo
sempre un verbale, una postilla, un registro, una data che farà il caso nostro.
Una volta esisteva il block notes, il diario, quelle belle agende annuali che
attiravano per i colori e le immagini che invogliavano alla scrittura. Anche
il salumiere aveva il suo dove scriveva i debiti protratti dai clienti, con la
penna sull’orecchio quasi a darsi aria di scrivano, uscito dalle
pagine del libro Cuore che sfornava i
suoi racconti mensili. I bei quaderni colorati e quelle computisterie ruvide
che sapevano di muffa stretti negli
scaffali. Custodivano sempre una frase d’effetto, un disegno significativo, uno
scarabocchio di quelli che si fanno mentre parli o ascolti qualcuno. Lo si
sfogliava con gli occhi desiderosi di scoprire quello che avevi dato ai fogli,
qual era lo stato d’animo, l’epoca, il giorno. Tiravi da quel foglio il
vissuto. Carte ingiallite, mangiucchiate dal tempo, con l’odore della scuola,
col profumo dell’insegnante impregnato su o quello di legno dello scaffale da
cui veniva giù. Ma la carta serve a registrare ogni nostro passaggio su questo
pianeta, una testimonianza delle nostre imprese. Ci consegna premi, affetto,
onorificenze, soldi, conoscenze… Ma da quando c’è la macchina computer la carta
è diventata gelosa.
I fogli non si contano e
talvolta si sprecano sotto le nostre mani a raccogliere idee. Forse in un
futuro prossimo le parole si racconteranno da sole. Quelle che resisteranno al buio, senza vedere il sole, i
colori, gli arcobaleni, i prati, faranno di nuovo capolino tra le righe. E la
carta si immolerà per essere imbrattata, come sta facendo da un po’ da quando
il computer le ha rubato le parole. Esse sono diventate frettolose e approssimative.
Quando depositiamo tutto sulla carta, stiamo più tranquilli, senza, i nostri
rapporti sono vuoti o inesistenti. La parola data non ha valore e anche se
l’avesse, crediamo alla carta, all’atto, al protocollo che nessuno potrà
contraddire. Eppure una volta Tommaso
Moro diceva che non ci sono contratti che tengano quanto quelli dei sentimenti.
Ed è possibile che questa massiccia produzione che regaliamo al computer nasca
da una mancanza di valori e sentimenti diventati labili e veloci, di una vita
che cambia continuamente rotta e desideri. Il tempo dell’incertezza esige che
si contratti di più per acciuffare i rapidi mutamenti. Aumentano le nostre
azioni e la necessità di protocollare. La burocrazia e l’economia, i moderni
tiranni, chiedono atti. La scuola, il comune, il tribunale, gli uffici sono
centrali di produzioni. E aveva ragione Pirandello con il suo Mattia, che persa
l’identità, con la sua presunta morte, non esisteva per nessuno. Senza la carta
che affermi chi siamo, noi non esistiamo. E se con la carta abbiamo bisogno di
controllare le nostre azioni, senza non abbiamo fiducia dei nostri gesti, ci
sentiamo in un continuo inganno. La carta è la memoria mentre le parole
evaporano, sfumano, si riducono, diventano vane. La carta racchiude la storia e
la storia è nata quando abbiamo cominciato a scriverla. Col tempo forse non ne
avremo più bisogno, quando il computer più che mandare atti, ci parlerà con la
sua voce e forse molte cose si ometteranno, si occulteranno, rendendoci solo in
parte quello che gli avremo affidato. E forse prenderà il sopravvento
diventando lui la mente e noi gli scrivani, con un ritorno al passato!
Commenta...
Nessun commento:
Posta un commento