Santa Maria del Castello, Vico Equense, Napoli
Respirare è un'azione così vitale che non ci facciamo nemmeno caso. Fa parte di quei meccanismi che avvengono indipendentemente dalla nostra volontà attraverso il sistema nervoso autonomo. Il respiro è vita. Se malato, si va in affanno. La vita va contata dai respiri che effettuiamo e non dal tempo che passa. Oggi respiriamo con difficoltà per cause quali il fumo, l'inquinamento, sostanze nocive con cui entriamo in contatto quotidianamente in casa e negli ambienti che frequentiamo. Una buona respirazione prelude a un buon funzionamento del nostro corpo, ma la qualità dell'aria è pessima e nessuno prende atto di un cambiamento necessario a renderla migliore.
Il respiro non è solo ciò che ci mantiene in vita, ma la nostra stessa essenza vitale. Mia nonna usava la parola "respiro" mai per riferirsi alla respirazione, sempre per definire qualcosa che può mancare, per cui era solita dirmi:"Tu per noi sei un respiro", e capivo che lei e il nonno non potevano fare a meno di me.
Il senso della parola l'ho sempre vissuto in questa sua accezione, cioè qualcosa che, se viene a mancare, rende la vita impossibile. Ognuno può essere il respiro di un altro, un filo anche sottile ma di cui non si può fare a meno.
Mia madre la menzionava quando metteva i soldi da parte e poi si giustificava dicendo che era per avere"un respiro" su cui contare.
Mia zia aveva un'altra concezione in merito: pronunciava la parola solo quando diceva che la casa deve essere ampia per permettere ai suoi componenti i loro spazi, in modo che non si sentano i loro respiri, come se respirare fosse qualcosa di intimo e personale e non un'azione comune a tutti.
Da mamma ho vissuto i respiri dei figli attraverso i quali avvertivo il loro stato di salute: malesseri, malattie, febbri. I loro respiri diventavano i miei. Ci sono poi i respiri torbidi e rumorosi dei malati. Ma per gran parte della nostra vita non ci curiamo dei respiri altrui. La modalità della nostra immissione ed emissione d'aria racconta tante cose, mostra le condizioni fisiche e psicologiche in cui versiamo: c'è quello ansimante dell'ansioso, in apnea di chi ha paura, i piccoli respiri di chi trattiene a lungo l'aria per essere cauto e quelli che quasi non si avvertono, come le statue.
Mio nonno Domenico Antonio fumava sigarette fatte col tabacco della sua terra che aspirava con ampi e lunghi respiri per poi avere il fiato corto quando parlava. Potremmo conoscere le persone dai respiri, dalle pause che effettuano durante i loro discorsi, da come il loro petto si contrae e si estende quando parlano.
Molto spesso sentiamo solo il nostro e non riusciamo nemmeno a comprenderlo.
Una mia amica di Università, in tempi di esami, appena entrate in facoltà, diceva:"Fai un bel respiro!" Durante tutto il tempo dell'attesa era sempre corto, labbra arse, gola secca, senza capire se si respirasse o meno. Ma la mancanza può avvenire sia per la gioia che per la paura e di solito ricordiamo i respiri affannosi dei momenti brutti, come se le sensazioni piacevoli fossero da cancellare o avessimo un difetto di memoria.
Mio nonno Aniello, che era una persona semplice e geniale, diceva che il respiro non vuole sussulti, deve essere costante, sempre uguale per non dare scossoni all'apparato. E sicuramente intendeva di non lasciarsi prendere dalle emozioni.
Il nemico del respiro non sono solo le malattie dell'apparato respiratorio ma di più le emozioni. Per quanto mio nonno avesse ragione, che vita sarebbe senza emozioni. Esse modulano l'intensità dei nostri respiri che scongiurano la monotonia.
È il pazzo che è in noi, dice il filosofo Emil Cioran, a obbligarci all'avventura; se ci abbandona, siamo perduti: tutto dipende da lui, perfino la nostra vita vegetativa, è lui che ci invita, costringe a respirare.
Nessun commento:
Posta un commento