Se la mamma prepara la minestra a Natale, la farà per il
resto della sua vita in quel giorno. Se il papà compra i botti, senza mai aver
sparato, continuerà a comprarli per non venire meno a quell’impegno, davanti al
quale non arretra. Perché continui a fare dolci se nessuno li può mangiare, ad
addobbare un albero così grande se in casa siamo in due, a cucinare un pasto
luculliano se poi resta per una settimana, comprare regali senza nemmeno
conoscere i gusti delle persone? A tutte queste domande si risponderà sempre:
per devozione, che implicitamente significa per tradizione. Il messaggio che si
trasmette con le tradizioni è che i momenti vissuti insieme sono un’eredità
senza prezzo. Siamo ciò che hanno fatto prima di noi le mamme, nonne, antenate.
Così hanno fatto i nonni, gli avi, da diverse generazioni e non ci si può
esimere dal tramandare questa testimonianza ai giovani. Ne hanno bisogno. Nel
periodo natalizio ci si fa in quattro per dare agli altri la festa attesa e non
deluderli, farli sentire allo stesso posto di sempre. E se qualcosa sembrerà diverso,
si comincerà a dire: però l’anno scorso questo non lo abbiamo fatto,
quest’altro non è stato preso in considerazione, il presepe lo abbiamo
spostato, l’albero era più grande, i regali erano a tema… Troviamo subito le
differenze, per evidenziare cosa è cambiato e quanto ci siamo allontanati da quella
consuetudine, pronti a rimproverarci della nostra infedeltà rispetto al
passato. Qualche volta che siamo stati tentati di tralasciare ogni uso
precedente, ci siamo sentiti orfani e fuori da ciò che facevamo. Non siamo
soddisfatti se non ripercorriamo pedissequamente azioni che hanno prodotto
determinate emozioni e che non potremmo ricevere altrimenti. Ogni anno
ritornano i ricordi come una sorta di resoconto: mancano all’appello familiari,
ci sono nuovi nati, sono cambiati fatti e situazioni ma non rinunciamo a voler
celebrare le nostre tradizioni, secondo un copione di generazioni, nelle quali
ci riconosciamo, segno della nostra identità.
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