Il dodici gennaio

 




E oggi sono diciannove anni che non ci sei più.

Che cosa mi manca di te? I tuoi ceffoni forti a cinque dita spiaccicati sul viso quando mi permettevo una parola fuori posto, le tue rincorse all’ingresso con la tazza di latte bollente che avrei dovuto trangugiare perché fuori faceva freddo, le tue orazioni, meglio dire filippiche, in seguito a un fatto accaduto  per farmi capire, quel trattarmi sin da piccola come se fossi stata una vecchia. E poi la tua gentilezza, il tuo sorriso, sbranare gli altri quando dicevano anche una sciocchezza sulle tue figlie, quelle incursioni a scuola, per sorprendere il ragazzo di turno che voleva proporsi e tu a ordinargli di starmi lontana, mettendomi a disagio. Mi mancano gli spunti che mi davi nel creare un centrino, una sciarpa, un ricamo, quel chiedermi aiuto quando non riuscivi con il lavoro ai ferri attorcigliando il filo del gomitolo per poi abbandonare il lavoro, che puntualmente finivo io. E poi le tue frasi al momento giusto, i tuoi proverbi, le tue canzoni quando eri allegra. Mi manca la tua preoccupazione per la mia salute, il portarmi in giro per i controlli, mai contenta dei responsi dei medici. Mi piaceva la tua sveltezza, l’ordine, la precisione, la capacità di gestire ogni cosa, l’intelligenza pronta nell’afferrare anche il non detto. Mi manca quando mi chiedevi di fare le imitazioni dei nostri vicini e tu a sganasciarti dalle risa, vedere insieme la TV dei ragazzi con Gianni e il magico Alverman, Chi sa chi lo sa, Gioca con noi, Ciuffettino, ma anche i Compagni di Baal, CuoreDopo aver visto un programma o un film, tu spiegavi i passaggi, ritornavi sulle immagini e poi scappavi in cucina a preparare qualcosa di buono per la merenda. Ricordo i tuoi insegnamenti dall’ordine in casa, a come stare al cospetto degli altri, come preparare un piatto semplice, le tue lezioni di pasta e fagioli con me sulla sedia che mi allungavo nella pentola per vedere come la cipolla, il sedano, la patata, il pomodoro galleggiavano nell’acqua finendo nei rigagnoli d’olio e tu che mi dicevi: “Guarda e impara”. E io imparavo tanto da provare da sola, qualche giorno dopo, a tua insaputa. E dello stirare, ne vogliamo parlare? Di come i lembi devono combaciare perfettamente, come vanno stirate le camicie e quello che accadeva quando si presentava una grinza a fine collo che pregiudicava quel sentirmi dire: ”Brava!” E c’erano incursioni peggiori come quelle di tirare le cose dal cassetto e rimettere in ordine capillare, o quando annusando nell’aria, dicevi che non sapeva di pulito, che c’era da insistere. E ricominciavo di nuovo. Per me era fondamentale accontentarti, aspettarmi la tua approvazione, cosa sempre difficile da ottenere. Eri sempre pronta con i tuoi sopralluoghi, i tuoi interventi per dire che le cose vanno fatte bene e in breve tempo. La mia cosiddetta “perdita di tempo” era leggere, che tu non sopportavi, vedermi intenta per ore con un libro in mano, mentre c’era da fare altro. E per continuare mi nascondevo in qualche antro di casa a finire il mio libro. E che dire delle lenzuola del mio letto con le macchie dei colori a olio simili a zampe di gatto sugli orli, quando appena sveglia dipingevo la mia prima idea mattutina. Mi mancano anche le tue scorribande nel bel mezzo di un servizio in atto quando irrompevi sulla scena per dire cosa non andava. Mi mancano le tue risposte, la tua dolcezza in tanta forza, il tuo abbandonarti dopo una giornata pesante, le tue richieste quando non stavi bene e noi a prenderci cura di te. E’ già bello poterlo ricordare, averlo avuto: ricordi intensi, vissuti. Una mamma che non accontentava e si vantava delle figlie, ma puntava all’educazione, a ciò che dovevamo imparare, a gestirci, a saper far la spesa e fare i conti. E quelle affermazioni come quando dicevi che solo tu potevi parlare e sfare di noi, e che l’unico motivo  del metterci sotto torchio era per il nostro bene. Un’idea che fino a poco fa credevo inutile e insensata, l’ho poi rivalutata. Le nostre figlie sanno fare all’occorrenza ma non accettano consigli, non mi sognerei di dire: "Guarda come si fa il soufflé", mi risponderebbe che magari non si mangia più, la dieta non lo vuole. E come parlare della grinza sulla camicia? Oggi i panni vanno in lavanderia, dopo quattro lavaggi sono rimpiazzati dai nuovi. E dell’ordine? Nemmeno a pensarci. In camera non si entra a riordinare prima di un esame in corso, passano giorni per poterci accedere. Ma forse sono più bravi di noi, apprendono guardando e secondo i loro interessi.

Ci hai insegnato che non bisogna mai vantarsi, e mai accontentarsi, migliorarsi sempre, avere la maturità per decidere, scegliere, conoscere ogni cosa a fondo, le “mezze mezze”, come dicevi, non servono a nessuno. E mi piacevano le volte in cui abbassavi la guardia e da mastino diventavi compagna per tirarci su in un momento di difficoltà. E quei baci a sgretolarci il viso accompagnati dalle tue espressioni folkloristiche:” Sule a mamma te vo bene accussi” continuando con sonorità fino a doverne dispensare a tutte e tre.

Quelle azioni che allora mi annoiavano, ora vorrei che si ripetessero ancora. E poi mi manca la tua calza della Befana da diciannove anni. Ogni anno bussavi alla porta, il giorno della festa, con una calza graziosa e ricca che portavi come se ci avessi messo l’oro e me la consegnavi con la fatidica frase: ”Finché ci sono io, non mancherà mai”. Sarà stato anche un rito, ma così benefico che anche il ricordo mi riscalda ancora. E’ bello aver avuto tutto questo, quelle cose che un tempo sembravano abitudinarie e noiose. Ora mi tornano preziose.

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