Librerie

Da ragazza, quando entravo in libreria, la sentivo come una sorta di santuario. C'era massimo silenzio, un odore intenso di colla e carta e una religiosa percezione di quello che era scritto nei libri. Come se tutti gli autori e tutte le parole corressero, in fila, a presentarsi a chi entra. Oggi in libreria è tutto colorato, illuminato, attrezzato, preordinato. 

Non è solo un luogo di lettura e presentazione, ma anche di una serie di attività per attirare la clientela. I librai sono dei manager, conoscitori della carta e del loro contenuto, ma anche dei profitti e delle mode. Ce ne sono di belle e attrezzate, soprattutto tra quelle messe su da giovani, che fanno della libreria un lavoro e una passione da seguire. Non tutte, però, hanno queste prerogative. Ci sono librerie che non espongono libri di autori emergenti, per esempio, ma li tengono in soffitta anche per anni, facendo doppio dolo, all'editore, da cui hanno ricevuto, e all'autore, il quale dopo la presentazione, dei suoi libri sugli scaffali non vede manco l'ombra. Ci sono librerie che affidano le presentazioni a persone esterne, che si arrogano il diritto di chi scegliere, in base alle proprie esigenze e simpatie. In queste librerie c'è un'aria fredda e distaccata, quasi avversa, per cui dopo aver sostato un po', non vedi l'ora di uscirne. Ci sono poi quelle piccole, appena ospitali, dove i proprietari sono mal disposti, che già avvertono, per la crescita dei megastore, una possibile chiusura della loro libreria. I librai che decidono di non chiudere, devono lavorare molto e  con animo non sempre sereno, preoccupati che, da un momento all'altro, le perdite possono risultare più dei guadagni. Di solito devono chiudere anche per l'umore sempre nero  e contrariato, per il pessimismo cui vanno incontro e che chi entra, avverte. In queste piccole librerie, anche prendere in mano un libro, diventa un'impresa. Il librario deve essere una persona solare, che invogli a leggere, a prendere in mano i libri, a sfogliarli, a sedersi per consultarli. Deve consigliare, mai essere invadente, sorvegliare ma lasciare quella libertà di scelta che induce poi a comprare. Deve essere paziente, socievole, sapersi rapportare agli altri, ben predisposto. Di solito un libraio del genere, anche in uno spazio piccolo, fa presentazioni piacevoli, ospita in modo attento, partecipa e interagisce col pubblico, invita e partecipa con interesse. Il mondo libri è una catena! Non si vende là dove il libraio vive la giornata come una di lavoro qualsiasi, come se facesse un orario d'ufficio, come uno perennemente afflitto. Il libraio deve portare per mano i suoi libri, deve essere presente in ogni cosa, è il burattinaio che muove i fili, che accoglie la clientela e sa anche rinvitarla, che consiglia e mette tutti i libri in esposizione. Chi ha il pregiudizio che si vendono solo i libri  di grosse case editrici, non vede oltre il suo naso. Provasse a mettere sui primi banchi anche i libri di autori locali, tutti in bellavista. Li sistemasse in ordine coerente, che tengano conto dei giovani, del loro mondo, quello degli adulti, dei bambini. Che mettano quello che hanno letto ed è piaciuto, senza seguire la classifica nazionale e internazionale. Molto spesso la classifica locale è ben diversa dalle altre, ma questo non significa non vendere. Bisogna capire quello che piace nel proprio territorio. Così un libro, che ha avuto successo a Milano, può non piacere a Napoli e viceversa. E' questione di gusti, di stili di scrittura, di interessi, di curiosità. La lettura è un incantesimo e non ci sono ricette da somministrare per vendere, ma saper creare opportunità e situazioni che aiutino le vendite e tengano conto di tutto quello che gira intorno al libro.

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"L'albero di noce" al Caffè letterario "Il tempo del vino e delle rose", a Napoli.

Giovedì, 28 settembre 2017, alle ore 18.00, al Caffè letterario "Il tempo del vino e delle rose" di Rosana Bazzano a Napoli, Piazza Dante 44/45, presenterò ancora il mio romanzo "L'albero di noce", Graus Editore. Una storia  vera, di vita vissuta, in cui molti trovano riscontri e fatti come se fossero personali.

 E' un romanzo che va letto e riletto, non chissà per quale motivo, ma una storia vera ha bisogno sempre di una doppia lettura: la prima per entrarci dentro, la seconda per poterne uscire. Storia degli anni sessanta fino ad oggi, intensa, ricca di emozioni, di personaggi tutti appartenuti a questo luogo. Quel noce rappresenta un ponte tra generazioni, un simbolo della vita e della famiglia, delle radici nel passato, di rami nuovi, di fiori che daranno frutti. Le noci, frutti chiusi nei malli, nei gusci, fragili ma ben custoditi, simbolo di forza che spinge verso l'esterno. Si incontrano in esso personaggi di un tempo e ancora esistenti, riportando alla luce realtà sepolte e altre ancora in atto. E' la celebrazione di un luogo, unico, Vico, le sue colline, il mare, i suoi abitanti, con scorci indimenticabili, palcoscenico dei fatti accaduti. Una storia che ogni volta che la si legge dà nuove risposte, nuove prospettive, nuove domande. 

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Punta Scutolo



“Scutulum” in latino sta per piccolo scudo, ma la Punta è un baluardo roccioso che fa da parete divisoria tra Meta e Vico. Per un errore di trascrizione finì per diventare Scutari, ma per quanto sia importante il nome, a noi interessa questo pezzo di roccia che è un punto di riferimento e confine di Vico. Risalta non solo per l’altezza, ma per il colore che cambia in base  al tempo. Potremmo quasi chiedere di aggiungere alla tavolozza del pittore il beige Scutolo, dopo il terra di Siena, il verde veronese…Come si fa a definire il suo colore se ne cambia uno a stagione e nella stessa stagione, ogni giorno e  parte di giorno. 

Quelle striature, che la solcano in altezza,  rendono il tratto di mare intorno di un verde scuro e intenso, facendone un punto di incontro felice tra acqua, vegetazione e terra. Fortunatamente la sua posizione, come l’imponenza, ha dissuaso gli animi dal voler rendere questo luogo da naturale ad antropico. Le quattro case sulla groppa  sono  privilegiate,  godono di uno spettacolo unico. Ho potuto apprezzare la bella vista da “Villa Scutolo”, Bed and Breakfast rinomato dove i clienti, se ci andassero solo per questo, potrebbero ritenersi fortunati. Qui è come stare alle porte del Paradiso dove si fanno sonni e sogni  da principi. Lì, sulla terrazza ho visto una Vico unica nei suoi colori migliori, nelle proporzioni giuste di terra e di mare, col porto, le case sulle colline fino a raggiungere le falde del Faito. Da lassù mi sono sentita un ciclope e con le braccia enormi potevo spostare le case, aggiustare  ciuffetti di siepi, posizionare un palazzo, ripulire qualche  pezzo di roccia. Vico era tutta lì raccolta. Affacciandomi dalla terrazza a  strapiombo,  ho visto la scogliera in un  mare verde per i riflessi della vegetazione e tutto attorno corone di ombre marroni su cui si infrangevano flutti scherzosi, ricchi di spuma. Solo il vento, col suo suono, lancia sibili come voci venute da lontano, scompigliando i capelli e scuotendo le poche chiome di alberi sospese nel vuoto con le radici attaccate alle pareti. Altro che scudo, un asteroide planato al suolo, solido, ben interrato che fa da faro. Con la sua posizione vigile, ben sporta in mezzo al mare, ripara  dai venti Vico e raccoglie Meta dall’altro lato. Girarci intorno con la barca fa un grande effetto, e quando si giunge al suo cospetto  si è portati ad alzare lo sguardo fino a raggiungere gli alberi e quelle case appoggiate sul ciglio. Da questa posizione si possono vedere i segni che il mare lascia quando graffia la roccia con la sua azione corrosiva nel gioco di alta e bassa marea. Così come i venti che, avvolgendola come un mantello, raschiano la superficie dando vita a quel colore biancastro che va dal grigio perla al bianco titanio, come il colore del sale. Ai suoi piedi, grotte e incavi, anfratti e curiose tane. Se poi si ci sposta appena sotto la sua testa, nella cava, a pochi metri dalla punta, si ha un’altra visuale, forse la più cupa. Qui, alzando lo sguardo, si ha come l’impressione di una grande onda che cavalca sulla nostra testa, la cui cresta porta quelle quattro case come sospese, appoggiate su batuffoli di verde. Ma il palcoscenico della cava è preso da loro: i gabbiani, che vagano alla ricerca del proprio nido nella roccia dove vanno a spegnere i loro stridori. Trasferiscono all’aria la loro tristezza quando devono atterrare, mentre sentono addosso ancora tutta la libertà dei loro voli sul mare. Così è la vita, dietro ad ogni libertà si nasconde sempre un sacrificio. Se non avessero  la terra cui riparare dopo le traversate, non potrebbero resistere, né dare all’aria i loro voli, più di ogni altro, segno di libertà. Nella cava scopri che Punta Scutolo è un parco, un luogo fatto di tante scene, paesaggi, colori, profumi. Il colore della parete sbiadisce, come se la roccia vomitasse acqua per l’umidità che aumenta al calar della sera, insieme all’ombra e al silenzio. Il meglio di sé Punta Scutolo lo dà nelle foto, dalle quali emergono le case, si distinguono gli alberi, la roccia luminosa e quella  casina rossa ai suoi piedi che ormai è diventata un logo inconfondibile. Lei fa da sipario al sole, quando cala e si nasconde nei suoi anfratti buttando in acqua l’oro, tutto insieme, dei suoi raggi. A volte la roccia è di colore rosa, altre, un chiaro beige, e poi paglino, altre ancora un dorato lucido e poi verde cupo, un colore per ogni riflesso del mare e del sole. In questa stagione si veste di colori vivi, raddoppiano gli effetti, come gli echi e i silenzi. Avvolta nei tramonti, nella sua veste serale, semplicemente la si ammira sotto il suo effetto benefico di serenità. E accade di ammirarla così tante volte che è diventata come una donna da palcoscenico su cui l’occhio non può fare a meno di cadere. Con tanti scorci  e panorami, la macchina fotografica gira sempre in quella direzione e per tante foto che le scattano, tante emozioni riporta. Che sarebbe Vico senza la sua Punta, senza quel faro che è più di una guardia, più di una parete, più di un’altura, più di una collina! Punta Scutolo è il  luogo del mito e delle fiabe e, vederla, rasserena gli animi oltre ad allietare la vista e a fornire ispirazioni e pretesti per creare.


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L'amore è sempre nuovo



Nelle nostre giornate distratte, presi da mille incombenze, non c'è posto per l'amore. E' un argomento di cui se ne parla anche fin troppo o pensiamo di conoscerlo così bene da tacere, ma molto spesso lo diamo per scontato, credendo di sapere tutto.
Ci sono quelli che lo bistrattano per credere di averlo, quelli che ormai disillusi, diventano cinici al solo pensiero. Ci sono poi i giovani che credono, con la loro freschezza, che sia quello stare appiccicoso cui sono abituati e da cui non si staccano, l'unica forma vera d'amore che conoscono.

Ci sono poi quelli che ne parlano a tutte le ore, che ne scrivono continuamente, tanto che lo banalizzano quando non lo ridicolizzano, facendo capire che lo conoscono poco. L'amore, come diceva La Rochefoucauld, " Il vero amore è come i fantasmi: tutti ne parlano ma ben pochi l'hanno visto". E ci sarà un motivo. Pochi hanno vissuto le esperienze dell'amore in modo completo, molti si innamorano dell'idea dell'amore come fosse un vademecum per la felicità o un modo di assicurarsi la vita. Ma un altro grande autore, Philiph Roth, afferma che l'amore vero spezza in due più che unire, ed è vero. Quando si ama si vive in funzione dell'altro, si vuol sapere tutto, ci si preoccupa per ogni sua cosa, rappresenta il nostro eroe e stiamo bene solo in sua presenza. L'amore non è cercare l'altro a cui aggrapparci  o con cui colmare un vuoto. Chi si dà a un altro nella speranza di non sentirsi solo o come un'ancora di salvezza, cerca una crocerossina o una badante, un protettore, una figura forte. L'amore arriva quando siamo  noi stessi, quando siamo veri, quando siamo proiettati verso gli altri, quando vogliamo condividere tutto quello che abbiamo. Un mio amico fotografo  una volta disse una cosa verissima: "Fin dal primo giorno di matrimonio si vede di che tipo di amore vive quella coppia. C'è chi non sa nemmeno sorridere da solo se non ha il consenso dell'altro; chi non riesce a fare un passo senza il compagno, chi ha bisogno di certezze che vede solo nell'altra, chi non si espone più di tanto!" Ma quando gli chiesi se avesse visto attraverso il suo obiettivo la coppia perfetta mi rispose: " E' la coppia che si alterna, spontanea, senza ingessature, l'uno verso l'altra, che rispetta, che noti dallo sguardo quanto si amano, la cui  vicinanza dell'altro rende allegri  e c'è un sorriso vero. E' una coppia che si completa ma ciascuno ha un suo mondo e per l'altro fa tutto!"  Davanti a queste parole sono rimasta per come abbia descritto nei minimi particolari un amore che palpita. Ha il raro privilegio di carpire ogni sfumatura attraverso la macchina da presa e lì dentro immortala l'amore ad ogni nuovo evento. Legge nei loro occhi, nei loro pensieri, nel modo di cercarsi. L'amore innanzitutto è un mistero che non possiamo tradurre come una versione o sviluppare come un teorema. Cosa unisca due persone, lo sanno solo i loro cuori e quando non lo si capisce si cominciano a dire quelle cose che non reggono e che rispondono più a operazioni matematiche. Allora si parte col dire che in amore la lontananza è un problema, la religione un ostacolo, l'età un paletto, la razza una divisione, le differenze di ceto un divieto, tutte considerazione improprie. L'amore può vivere di sè, si autoalimenta.  E quali sono questi ingredienti? Anche qui partono le equazioni tra le più difficili e si dirà che l'amore vuole un bel fisico, la giovinezza, vuole essere onnipresente, è geloso, egoista, prepotente. L'amore vorrei dire a costoro, "non si spiega" come dice una canzone di Sergio Cammariere. Allora cosa significa che l'età, la lontananza, il bel fisico sono limitazioni? Al di fuori di questo algoritmo non posso amare lo stesso? Cosa si ama il derma, la forma, gli occhi, la giovinezza? Credo che si ami una combinazione, una persona costituita esattamente da quel corpo, quella mente, quei colori, quel modo di fare, di dire, di essere. Si ama l'unicità dell'essere. E' un incastro di cose  che non si possono dividere ma vivono tutte insieme e si ama esattamente  quell'insieme di vita che, quando respira, parla, si comporta, rapisce la nostra attenzione e ci blocca. E noi, a nostra volta, vogliamo partecipare al suo mondo, muoverci, parlare, vivere in comunione con l'altro. L'amore è un'alchimia che finisce per chi non ci crede, per chi cerca i suoi algoritmi, le sue leggi, i suoi teoremi, le sue operazioni. Vive per chi crede nella vita senza spiegazioni, nella fede senza domande, nell'esserci senza sapere come, nel non capire esattamente cosa si ami. L'amore è quando qualcuno ti cambia e non te ne accorgi, quando non ricordi come eri prima, quando non sai stare senza la sua presenza e il tempo è fatto di attese. L'amore ti spezza e tu resti forte, è volere le stesse cose sue senza se o ma, quando c'è ma anche quando non c'è la strada, quando hai una forza dentro che spinge e tu la assecondi...Sono tanti i modi e le forme dell'amore ma è anche un essere delicato e fragile che ricorda e accumula i sassi e le cadute durante la strada, e non deve succedere l'irreparabile per andarsene, basta un'offesa immeritata, un abuso della sua forza, un pretendere, un mancare, uno  sfuggire, un perdere la strada. L'amore è fatto di due dove ognuno è un intero forte e completo e insieme sono una forza.  E' magia di cui non si sa la formula  e lo si deve sempre reinventare. L'amore non ha stagioni, prende tutti come l'acqua quando cerca strade tutte sue, è una linfa che dà vita, una forza che ci rende veri mostrando di noi la vera faccia. Noi siamo quello che mostriamo di essere quando siamo innamorati, fuori da questa condizione siamo pressappoco noi stessi con tanti difetti. L'amore è un bambino dispettoso e leggero e con questa leggerezza si infiltra ovunque. Inutile spiegarlo è bene solo augurarsi di conoscerlo. Ma i saggi dicono che l'amore è quel che resta nella cenere.

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Maleducati da bandire

Da quando abbiamo tutta questa tecnologia a disposizione, crediamo di essere delle divinità. Crediamo! Vuoi dire qualcosa a qualcuno? Basta un messaggio, nella sua bella nuvoletta bianca. Agli amici? Basta whatsapp. Vuoi raggiungere un’istituzione, una persona? Basta scriverle un’e-mail. Ma la tecnologia non  ci preserva dalle delusioni, dalla maleducazione, dalla cattiveria.



Con la comunicazione più celere, aumentano  anche le possibilità di aggirare i problemi e gestire le relazioni mettendo fuori il peggio di noi quando facciamo sfoggio della maleducazione. Può succedere che, inviando un messaggio non si riceva risposta, che a una telefonata non si ottenga riscontro,  nemmeno nei giorni successivi. Sulle prime pensi che il destinatario abbia bisogno di tempo per riflettere. Poi ti rendi conto che quella che tu avevi preso per riflessione non è altro che menefreghismo. Oggi  che viviamo col telefonino relegato  praticamente nel palmo della mano, non è credibile che un messaggio passi inosservato o una notifica venga meno o anche una telefonata non sia memorizzata. Sappiamo in tempo reale cosa fanno i figli, il marito, la moglie, gli amici e poi lasciamo in stand by un messaggio per giorni, conoscendone la provenienza e il motivo, dilungando il tempo di risposta quando forse abbiamo già deciso di non prenderlo proprio in considerazione. Sarebbe meglio a questo punto chiarire il pensiero, le intenzioni. Ma no! Si tergiversa producendo effetti contraddittori. Ma la buona educazione dice che prima o poi devi scusarti o dare delle risposte se trovi quel numero più volte nel tuo telefono. Risposte che non arrivano per mesi, e non parliamo di fidanzati che si lasciano, ma da persone che hanno in mano un mandato per fare un nostro interesse, o salvaguardare una posizione, o prendere iniziative per qualcosa. Dopo mesi di silenzio totale, capisci che quella persona è proprio quello che pensavi di lei mentre aspettavi la risposta e cominci a vederla sotto una luce diversa e a capire più di quello che c’era da capire. Spesso in gioco ci sono sentimenti che ritornano, situazioni che si vogliono ricambiare, paure e comportamenti non chiari, illazioni su fini e motivazioni, ma unito a questi anche il piacere puro di ledere quella persona che crede in noi. A volte le persone che ci colpiscono sono proprio quelle che apparentemente non ne avrebbero motivo, e invece ne hanno a nostra insaputa. C’è anche un delirio da onnipotenza in chi si vede cercato più volte da una persona. E lasciare il telefonino squillare senza rispondere o relegare il messaggio in archivio quando non lo si cancella, deve essere una frustrazione o un rafforzare il sentimento malsano che si prova per il seccatore. Su di una cosa non si transige: a una telefonata bisogna rispondere così come a un messaggio. Chi decide di non farlo, forse si serve di una strategia per risolvere una questione personale, o non ha il coraggio di dire cosa pensa, o forse alla bella faccia che pone davanti, segue una cattiva opinione dietro. E poi c’è sempre pronta la giustificazione: se è una cosa importante, richiama! Ci sono quelli che non rispondono mai per abitudine, come la pubblicità che alla fine diceva:” L’uomo che non ha bisogno di chiedere!” Queste persone credo siano, oltre che maleducate, anche superbe e tutto sommato è un bene non averci a che fare. Si autoeliminano da sole. Stando così le cose, la tecnologia aumenta le animosità, le antipatie, i pregiudizi e scopre quelle persone che in altri casi  non si sarebbero mai rivelate così bene. Questo aumento di interconnessioni dà il peggio di noi. Con la messaggistica nascono equivoci, vengono fuori illazioni, si azzardano giudizi, si sminuisce la persona o la si sopravvaluta. La tecnologia ha messo in luce la nostra miseria, la pochezza e l’inciviltà, amplificando le questioni. Quando vogliamo comunicare con una persona, sarebbe meglio scriverle una lettera, di quelle di una volta, con una calligrafia da amanuense, anche questo è un importante segno di rispetto. La lettera la leggi, la  rileggi, la correggi e ti rendi conto se realmente sono le cose che vuoi dire. E’ un documento che resta e non puoi eluderlo. E poi alla fine la firmi, sicuro di quello che hai detto, senza possibilità di ritrattare come accade per i messaggi. Si eviterebbero situazioni spiacevoli che nascono dalla facilità di “inviare” con un click parole che a volte si dicono  ma che non ci rappresentano per niente. Si dovrebbe trattare la messaggistica con la stessa cura ed educazione di una lettera.  Abbiamo l’arroganza di pensare che negandoci ci difendiamo dal non dover dare spiegazioni o motivare il nostro atteggiamento. A volte è una voluta strategia per  lasciar trapelare, indirettamente, il nostro pensiero proprio  evitando di scriverlo. La tecnologia ha accentuato i nostri lati peggiori, amplificato i nostri difetti, compresa l’ incapacità di mediazione, e che tutto sommato sono quelli che avevamo anche prima dell’avvento della tecnologia solo che era più difficile scoprirli. Oggi siamo senza difese, senza scuse, troppo monitorati per contenere il nostro pensiero. Esso emerge anche quando non agiamo, e soprattutto quando ci neghiamo attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione. La persona, non vedendosi recapitare una risposta, fa bene a bandire l’altra dal giro di amicizie. Questo è diventato un atteggiamento molto frequente  mettendo in discussione le nostre amicizie, che si rivelano spesso fragili e opportunistiche. E non è nemmeno plausibile il discorso di avere troppi impegni visto che la tecnologia dovrebbe far guadagnare tempo. Anche il silenzio è una risposta che, procurando ansia,  esercita una forma di violenza. D’altra parte si vede che a sua volta, la persona abituata a gestire la comunicazione in questo modo,  avrà subito lo stesso trattamento da farne  un suo costume. Ma anziché arrovellarci il cervello alla ricerca della motivazione per la mancata risposta, o mancata chiamata, meglio scaricare le persone di tal genere.
E non vale nemmeno la pena ritornarci su con spiegazioni, tanto non se ne caverebbe un ragno dal buco, ma solo scuse e pretesti. Il modo di trattare con loro è rendergli pan per focaccia e ricordarsene quando accadrà sicuramente di stare loro dall’altro lato del telefono. In questo caso ricorderanno.


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Itarella e le altre storie…Il ritorno dalle vacanze


“Ah, pare mo che sono arrivata, già devo partire, uffa, le cose belle finiscono subito, la noia, quella c’è sempre!” Itarella si lamenta entrando nel treno a Sorrento con Annuccia e l’amica. Sistema i bagagli e si affaccia dal finestrino per salutare il marito che va via con l’auto. Ha fatto una lunga vacanza tra parenti e isola di Capri, soggiornando più del dovuto. Questa volta parte all’imbrunire con l’ultimo treno verso Napoli. “Speriamo bene, non voglio fare il pellegrinaggio di quando siamo venuti. I mariuoli, i puzzolenti e i cattivi intenzionati che restino a casa”. L’amica mangia un panino e lei la guarda come un cucciolo a cui non si dà niente. “ E’ finita la vacanza e già sono triste. Tutto sommato mi sono abbronzata, ho messo su tre chili, ho speso un bel po’ di soldi, capirai quanto è cara Capri e so’ pure stanca!” “Ma no, dai che è stata una bella vacanza Itarè,  in giro per l’isola, hai mangiato bene tutti giorni,  ti sei divertita. Quelli per la vacanza sono soldi spesi bene!”

“Macchè!!! Adesso devo andare dal professore, ci dovevo andare per il controllo e invece sono aumentata. Tu mangi il panino e io guardo. Che poi non capisco una cosa. Ma tu hai visto i turisti per l’isola? Li hai visti? Tutti rotondi e non si fanno mica problemi a mettere fuori i cosciotti di pollo. Tutti affettuosi con quelle mogli e quei mariti a forma di fiaschi e damigiane. Abbracciano chili di lardo, baciano guanciotte a forma di cuore. Qui qualche chilo in più e sei out” Il treno parte e, guardando fuori, spuntano tante  luci. Settembre è fresco, le giornate si accorciano e lei sembra triste. “Che hai Itarè, stai in pensiero per Cosimuccio?”
“No, vorrei abitare da queste parti, con una casetta sulle colline da dove vedo il mare ogni mattina, il sole quando nasce e la luna a sera. Invece mo andiamo nella caserma di Napoli, il condominio dei matti. Accort’ e pann che scorrono, l’erba che cade, il rumore, la siepe, o vetr ca se rompe. La città è bella ma tropp gross non va bene. Qui è tutto come dev’essere. Ma dove stiamo mo?” “A Meta”
“ Madonna che bell ccà. I turisti hanno ragione di venire, nuie simme e Napule e nun sapimme ‘a penisola” “Un po’ come chi è della costiera e non conosce bene Napoli!”
Si nun fosse po’ babà, a sfugliatella, Mergellina, a Galleria Umberto, Capodimonte, Santa Chiara, Pusilleco, via Caracciolo, o Gambrinus, o Vommero, piazza Dante, Via Roma e via Chiaia e m’ ferme ccà, ma che tene Napule cchiù ‘ra penisola?”  “Ti ricordo che Napoli è una metropoli, ha tre milioni di abitanti, terza città d’Italia dopo Roma e Milano. La penisola ha piccole città”. “Semp città song! E po’ a me piacen e cose piccerelle: nu porticciolo, na barchetella, na stazionuccia, na panchinella, na villetta, a Napule è tutt cos gruosse, te pierde! Ca tiene o mar a purtat e man, na strada che pare va ncopp all’acqua, nu tren, meglio che nun’o dicimme, comunque nu treno che te porta a destinazione…e po’ aria bbuona, frisc, auciell ca te scetene a matine, se mangia bbuon, ca ce stanno tutte chef stellate, chist è o paese re stelle, ‘nciel e ‘nterrra. Je vulesse na casa. Cà, per una cosa nun ze po sta, il cibo, si ingrassa, si lievita e io nun posso mantenè a vvita o professore”. “Anche a Napoli mangi bene!” “Ma qua vuoi mettere na pummarulella, na panzanella, n zsalatella, un caciocavallo, un provolone del monaco, dop, doc e tutte e sigle possibili e inimmaginabili che assapori mentre guardi Capri, o mare, a luna…Il gelato dinte a brioche… Ma dico io, cumme se fa na dieta da queste parti? Mo mi aspetta la fame: un po’ di pane, un po’ di carne, un po’ di tutto. E poi deperisco. Ma io teng nu stomaco di ferro che macina pure e pret, con la dieta sarrevota!” Mentre parla guarda l’amica che mangia il panino e Annuccia che sgranocchia caramelle.  “Il professore mi ha detto che se andavo in penisola dovevo portargli il limoncello, e io ho preso anche il liquore   liquirizia,  menta, e nocino. Io non lo posso proprio toccare sennò metto le ali sui fianchi e Cosimuccio dice che non ci sono più le maniglie dell’amore, ma due parafanghi di ferro. Devo solo scendere qualche chilo sulla pancia, il giro vita marcato, tutta la parte sottoposta alla culotte de cheval, giro braccia”. “Itarè devi lavorare di più!”
Comme io saglio e scendo, scopo, stiro e lavo, corro a far la spesa…uh guarda o Vesuvio e là se vere Capri, stiamo sotto il colle di Sant’Alfonso, Torre del Greco. Che meraviglia, che bellezza! A Napoli conosco solo o portone e casa mia. Qua si deve fare qualcosa per gli incendiari. L’anno prossimo bisogna prenotare una grossa nuvola fissa sul Vesuvio e un’altra sul Faito con una catenella fino a giù, come brucia, la tiriamo e così piove!” “Itarè che fantasia, come se la nuvola si riempisse da sola!” “Cominciamo a prendere contatti con i pubblicitari che invece di disegnare il pino di Napoli, ormai sono secoli, cominciassero a prendere le misure per la nuvola sul Vesuvio e l’altra sul Faito, per come devono essere posizionate sulla cartolina, così prendiamo il toro per le corna e freghiamo tutti quelli che aspettano l’eruzione”. Intanto arrivano in stazione che Annuccia dorme, mentre Itarella persa tra i profumi di pomodori e basilico, mangia un pezzo di panino chiudendo gli occhi, come se fosse l’ultima volta che disobbedisce all’io che vuole fare la dieta. E appena finisce dice:” Fortunatamente si torna a casa”.

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Pianeta scuola

Sta per cominciare il nuovo anno scolastico e come sempre parte accompagnato da malumori. La scuola italiana subisce continui stravolgimenti e ogni anno a settembre, ci si ritrova con novità e contraddizioni. Tutte le questioni più spinose si fanno sentire in questo mese. Così è il tempo dei corsi e ricorsi dei professori per incrementare il fatidico punteggio che metta in condizione di aumentare i titoli al fine di equiparare la propria laurea alla classe di concorso.
 Purtroppo la scuola vive anche di corsi e ricorsi continui. Senza ricorsi non sei nemmeno preso in considerazione. I fondi stabiliti per la scuola sono sempre pochi e se provenienti dalla Comunità Europea, hanno un iter burocratico particolare, per cui, se si fanno scadere i tempi entro cui vanno spesi, ritornano indietro per la mancanza di progetti adeguati e tempestivi. A volte molti problemi scaturiscono dall’inesperienza o dall’incapacità a gestire risorse. Nei Programmi odierni si prevedono per i ragazzi contratti scuola lavoro, una sorta di tirocinio, risultata solo per pochi un’esperienza positiva: molti hanno dovuto accontentarsi di lavori poco adatti o non congeniali a loro mentre a pochi è stato concesso quello preferito. Gli edifici scolastici, spesso troppo vecchi e a rischio, hanno bisogno quasi tutti di revisioni o ristrutturazioni quando non sono da ricostruire ex novo. In molti casi i fondi stanziati per le ricostruzioni vengono utilizzati per altri progetti magari già definiti, in attesa di quelli per cui erano stati assegnati che prendono sempre tempi interminabili. A settembre molti insegnanti si trovano ancora senza sedi, senza classi, molti altri alla ricerca di quella definitiva e in situazioni precarie. Quest’anno di nuovo abbiamo le vaccinazioni obbligatorie con tutto il caos che ne deriva. La regione veneta si è opposta, e a riguardo ci saranno proroghe e responsabilità da assumersi. Per non parlare di quello che accade in aula, dove il 50 % della giornata passa tra questioni burocratiche. Le supplenze, altro argomento spinoso, vengono effettuate dai colleghi in contemporaneità e da supplenti in graduatorie, ma quando c’è la necessità, si va alla ricerca dell’ insegnante libero che momentaneamente supplisca in attesa del titolare. Ci si ritrova a stare sempre in tensione, sempre vigile, sempre a relazionare con il pubblico ed è veramente il lavoro più stressante che esista. Bisogna avere un equilibrio psicofisico stabile una volta davanti alla classe. Per non parlare del tempo da spendere sul registro elettronico, la gestione dei disabili senza adeguate ore di sostegno. La verità è che la Scuola non è quello che c’è intorno, ma quello che accade in aula, è lì che i nodi delle questioni si capiscono ad occhio. Ma questa è la parte che non si vede e che tutti credono di conoscere, legislatori compresi. Molto meglio riempirsi la bocca di Aggiornamento, Corsi, Funzioni, POF, PTOF, e quante altre sigle abbiamo creato per perderci nel mare magnum delle carte. Un docente per la modica cifra di stipendio base di 1400 euro al mese deve assolvere a una marea di funzioni, con un tipo di lavoro usurante, con l’utilizzo di tutto il suo tempo, e a volte non resta nemmeno quello per riposare o riprendersi, con responsabilità al limite del possibile. Per non parlare del diritto allo studio, che detto così sembra una bella idea, ma vissuto di persona ci si deve scontrare con tanta burocrazia che alla fine ci rinunci. Le famose 150 ore per lo studio non valgono per chi è fuori corso, ma non puoi essere in corso se lavori, una sorta di beffa, una legge che non si rende conto della realtà. Se poi sei fortunato e sei in corso, non puoi assentarti se la situazione di lavoro non è tra le migliori, praticamente mai! Se vuoi studiare è sempre a tue spese, se non paghi le tasse non sostieni esami e all’Università, prima di ogni esame, se non presenti lo statone che accerti i pagamenti, si può perdere anche la sessione. Ho assistito a scene veramente deplorevoli e là ti rendi conto che la legge va in un verso e la realtà in un’altra. Se sei meritevole non paghi le tasse al primo anno, ma per il resto di tutto di più. Per non parlare del costo dei libri scolastici dalla Primaria all’Università! L’editoria scolastica fa affari d’oro e non sono gli autori di successo a fare arricchire le case editrici, ma gli autori che scrivono per la scuola. Si è costretti a cambiare libri continuamente come se invecchiassero di ora in ora. Come spiegare che le famiglie per tenere un ragazzo agli studi devono fare sacrifici immani. Non bastano solo i testi, ma un ragazzo necessita di un corredo scolastico. Tutto quello che la scuola può dare, diventa irrisorio a confronto di quello che serve. Per non parlare delle ripetizioni, dei fatidici doposcuola, cioè di costi aggiuntivi non contemplati. E qui una parentesi lunghissima. Se c’è bisogno di doposcuola, vuol dire che la scuola non funziona, ma vuol dire anche che un ragazzo non è tagliato per quella materia, ma vuol dire anche che un professore non sa spiegare e che anche se bravo l’insegnamento è un’altra cosa. Si sviluppano reazioni a catena senza fine. Ma ormai il doposcuola, con compiti o meno per casa, è un acclarato passatempo quotidiano vuoi per reali necessità che per mantenere i figli a bada e stare tranquilli, quindi è diventato un fatto necessario, a cui nessuno rinuncia più. Ogni anno ci sono delle novità che a volte collidono con la situazione esistente, altre volte sono contraddittorie, altre volte inutili e altre solo per dire che c’è un cambiamento. Stiamo seguendo la logica moderna su un terreno franoso. Di tutte le riforme sono contenti solo coloro che dispongono fondi da gestire. Ma i paradossi non mancano. Così si possono avere in aula lavagne interattive multimediali (Lim) o registri elettronici e una classe mancante, dell’insegnante di cattedra, o professori non ancora nominati, quindi una scolaresca fornita di tutto il materiale tranne il necessario, oppure avere gli esperti esterni di discipline come Motoria, Danza, Musica senza mezzi per espletarle. Quello che non si spiega sono gli avveniristici progetti calati su realtà ferme a 50 anni fa, con scuole fatiscenti, aule strette e buie, mancanza di spazi. Le contraddizioni nella scuola italiana sono veramente tante. E della famosa 104? Sono pochissimi gli insegnanti che non ne usufruiscono, e chi ce l’ha ne fa uno scudo. Ci si assenta a scuola nei giorni clou, quelli stressanti, quelli che ti sfiniscono, basta dire che ti spettano i tre giorni che altrimenti perdi. Questo non toglie l’importanza del vero motivo per cui è stata istituita. Ma ormai l’abuso è massiccio e si confondono le vere realtà da quelle che invece risultano escamotage per non uscire dalle graduatorie o per potersi assentare tranquillamente per tre giorni al mese, oltre ad avere vantaggi di tipo economici. Da questa panoramica emerge che il problema reale oggi nella scuola è una seria gestione dei problemi. Anche se ci sono leggi e denaro, vigono anche tante discriminazioni, poche chiarezze, e un’approssimazione che manda all’aria i buoni propositi e la volontà di migliorare e soprattutto che mortifica il lavoro ineccepibile di molti, la maggioranza.

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Caro settembre

Caro settembre,
non credevo arrivassi così presto, quest’anno che avevo preso gusto ad andare a mare come non facevo da tanto. Non è stata un’estate facile, la ricorderemo per il fuoco, fiamme per tutte le montagne, vicine e lontane. Hanno deciso di uccidere la natura e al solo pensiero mi viene da piangere. Stamattina ho pensato ai miei compitini da bambina quando disegnavo immancabilmente la frutta come le mele, l’uva e le tante cose buone che la terra ci ha sempre dato. Ora attendiamo l’acqua per mettere fine a questo scempio. L’uomo è capace di tutto questo in nome del denaro! Nelle mie frasi da bambina ci mettevo sempre i pensieri per la scuola, la voglia di ricominciare un nuovo anno scolastico, di vedere i compagni, la maestra. Era tutto più semplice allora, più chiaro, più vero. Ora è così complicato! Ora siamo adulti e abbiamo tante responsabilità. Mi piace quando arrivi, dai una tregua a tutto, ci metti in riga. Mi piacciono i colori che porti, la calma delle giornate, la malinconia che stemperi nella mente al pensiero che è finito il riposo. Dicono che sei il mese più atteso, ed è vero. 

Quanti hanno scritto di te canzoni, motivi, ritornelli, poesie. Sei come una data simbolica, un mese di resoconti e di partenze, di iniziative, di nascite in ogni campo. Se qualcosa deve partire, questo avviene a settembre, tutto comincia ora. Arrivi sempre con lentezza restando ancora nell’oro di agosto, con il caldo che non scema, con i giorni di mare silenziosi, con i pensieri che si affollano. Ci è rimasto il suono dell’aereo sulle nostre teste e degli elicotteri che combattono le fiamme ancora oggi. Il rombo di quei motori ci attanaglia e l’inizio del nuovo percorso giunge con tante domande che non hanno risposta, o forse non ci piacciono. Nei miei compitini da bambina scrivevo e disegnavo quello che avveniva in questo mese e mi piaceva la cura che mettevo nei particolari. Anche adesso penso a quello che sarà in questi giorni e ai giorni d’autunno.
Caro settembre, da bambina si parlava dell’autunno e della vendemmia, ora si parla di disastri idrogeologici e già sappiamo che pioverà molto, come stanno preannunciando, ci aspettano altre difficoltà. E molti aspettano di trarre vantaggi da questi fatti. Era così bello un tempo quando arrivavi con i tuoi colori, l’aria fresca di mattina e sera, i pullover colorati, le prime foglie, le piogge leggere, le voci dei bambini davanti alla scuola, gli uffici aperti e i primi rientri ma con la mente ancora all’estate. Adesso le foglie sono state già tutte bruciate dalle fiamme, non ci sono più quei bei colori autunnali che tanto mi piacevano: gialli, rossi, arancioni, marroni. No, adesso per la montagna è tutto grigio, un fumo ovunque. E come questo fumo la nostra mente è diventata confusa, incapace di operare, abbiamo perso il senno. La natura l’abbiamo uccisa in tutti i modi, non ne può più di noi e qualche giorno si vendicherà. Eppure sono sicura delle parole che scrivevo da bambina, quando dicevo che settembre è un mese che amiamo proprio per la natura, per quello che ci offre, per come si trasforma. Oggi non può trasformarsi, l’abbiamo violentata. Ma sono una inguaribile ottimista e, appena a scuola, continuerò a disegnare i cesti di frutta, a salutare il mare con i suoi abitanti, a fare i covoni nei campi ripuliti dopo la calura estiva e le foglie nei suoi colori autunnali. Per me resti il mese più sereno, che dà tante idee. E se proprio ci deve essere un inizio certo, sarà quello di piantare alberi e alberi. Li pianterei anche nei cuori di pietra di quelli che hanno appiccato il fuoco, per castigo dovrebbero andare in giro mettendoli in mostra, così da capire che sono stati loro. A scuola farò disegnare tanto verde da portarlo su per i monti e tappezzare i luoghi bruciati che sono diventati desolati e tristi. Caro settembre, porta un po’ di tranquillità, smorza gli animi cattivi e con la tua brezza semina parole sincere, soprattutto in quelli che hanno il deserto dentro così come hanno bruciato i boschi fuori.

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