Nello sguardo dell'altro

 


Ieri sera vedevo una serie televisiva e, guardando una scena mi sono commossa. Più procedo nella visione, più mi commuovevo. A quel punto ho bloccato l'immagine e ho cercato di capire che cosa avesse di così particolare per farmi cadere in quello stato. Una semplice scena come ce ne sono tante in drammi d’amore. Sicuramente la bravura degli attori aiutava a entrare nel contesto, ma la bellezza era data dagli sguardi, dai movimenti delle mani impacciate, dai timori che nascondevano, dalla paura di sbagliare le parole e offendere l’altro. 

Non era facile, per il regista, far emergere questo contenuto, eppure ha sortito il suo effetto. Accade mai nella vita una scena così, dove vale più ciò che prova l'altro che noi?Ci soffermiamo mai sullo sguardo dell’altro, o sono più le volte che lo evitiamo. E se non puoi guardare l’altro negli occhi, non puoi capire. Più volte il protagonista alzava lo sguardo dell’amata, che invece cercava di abbassarlo, ma poi, quando lei  s’immergeva nei suoi occhi, non riusciva a staccarsene. E in quell’incontro non c’era bisogno di parole. 

La scena era di quelle innocenti, che anche i bambini avrebbero potuto vedere, senza smancerie, né sbaciucchiamenti o abbracci o tenerezze, solo il linguaggio degli occhi. La commozione nasceva dal comprendere che guardare nell’altro è un po’ guardare in se stessi. In qualche altro film o serie la scena avrebbe potuto avere un risvolto diverso, magari lasciarsi prendere dalla voglia di effusioni, silenzi, ma loro avevano il bisogno di leggersi, capire cosa provasse l’altro. Ogni paura si è sciolta nei loro occhi.

Questa sensibilità è fuori dalla nostra quotidianità. Correre durante le nostre giornate non ci permette di soffermarci su cose importanti, come quella di perdersi nello sguardo dell’altro. Rimandiamo costantemente a dopo, a sera, a domani, a poi vediamo. Scuse per sfuggire a verità più profonde. 

Ho ripreso la scena e sono rimasta ancora più colpita: il protagonista, con grande pazienza, assecondava le remore dell’amata senza replicare, o recriminare su qualcosa che gli spettasse di diritto. Ha risposto che aveva ragione, avrebbe atteso i suoi tempi. Altro blocco d’immagine. Mi chiedevo se fosse reale. Ma come, lui che era nel giusto, assecondava lei senza urlarle addosso che ormai la pazienza era finita? Sì, proprio così!

Ha proprio ragione Baricco quando dice che l’amore è qualcosa che ha a che fare con l’aspettare. Aspettare sempre…l’altro.

La scena rimandava al significato di amare, che tutti i baci e le carezze non possono dare se manca la cosa essenziale: esserci, capirsi, attendere, seguire l’altro.

Strano, queste cose non s’insegnano ma poi si comprendono subito quando le vedi perché rispettano interiormente la persona. Ti accorgi che quella delicatezza di modi e di ragionare, di comprendere, ti appartiene. E la commozione nasce quando si tocca profondamente qualcosa in noi.

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