Crescendo i figli si allontanano
dalle figure di Babbo Natale e della Befana, come se l’avanzare dell’età lì
scoprisse impreparati al fatto che i due personaggi della loro infanzia non
sono più credibili. Alle notti insonni, passate con gli occhi spalancati nel
buio, per riconoscere il minimo fruscio o rumore al passaggio della Befana, si sostituiscono
pensieri scettici che allontanano quei momenti magici vissuti da
bambini. Anche i genitori si mostrano stanchi di quelle sceneggiate durante la notte, con lunghe ed estenuanti veglie
per sistemare al meglio i doni. Crescendo, i ragazzi perdono l’incanto dell’infanzia, di quando si lasciavano ingannare a loro insaputa.
Quando mamma e papà capiscono che non si possono più divertire come una volta
nella regia della rappresentazione dell’Epifania in piena regola, allora vanno
scemando l’intento riducendo la
Befana a una magra e striminzita calza appoggiata da qualche parte della casa
come unico elemento che ricordi la tradizione. Mia madre ricordava sempre a mio
padre, quando ero bambina, di non
dimenticarsi la calza, mentre lei
pensava al resto. La regista era lei e non ha mai perso l’abitudine. Non si è
mai dimenticata la calza, anche da adulta e sposata. Era un dovere ma fatto con amore, come dovrebbe essere ogni
volta che doniamo qualcosa. Le sue calze sono state uniche: ricche di ogni sorta di dolci, stracolme, di forme strane per il peso che contenevano. Da
ragazza, con le mie sorelle la svuotavamo interamente sul letto e ci divertivamo
ad assaggiare, mercanteggiando quando volevamo a
tutti i costi le cioccolate dell’altra. Tre calze enormi che si confondevano sulle
coperte del letto. Passavamo il tempo a limitarne i confini, racchiudendo
il contenuto di ciascuna, litigando per gli Smarties o i Mars. Si scartava cioccolata fino
a mezzogiorno, si selezionava quella che non piaceva, si giocava
con le rondelle di liquirizia, chi tirava da una parte e chi dall’altra, e si
assaggiava un po’ di tutto, riempiendoci la bocca per paura di perderci qualcosa
di buono. Se ne mangiava fino a quando i denti diventavano neri. Mi piaceva il
suono della calza al tocco della mano, che faceva venire l’acquolina in bocca
sapendo che, quelle carte che si strofinavano, erano piene di cioccolata. Da
sposata, mia madre, il giorno della Befana, arrivava con un serpentone nella busta,
di mattina presto, quando ero ancora intenta a sistemare i giocattoli dei miei figli, e tutta allegra mi diceva:”Ho portato la calza alla mia bambina”.
Strana sensazione sentirsi bambini da grandi e vecchi da bambini! Lei mi faceva
sentire al centro dell’attenzione ancor di più quando, slacciando la calza, non
c’era una sola cosa che non fosse di mio gradimento. Le leggevo negli occhi il
piacere di darmi piacere. Voleva scoprirmi confusa e ancora pensata come quando
ero bambina e al mio sorriso, al mio illuminarmi davanti a quelle dolcezze, era felice. Dopo aver letto sul mio volto tutta
l’approvazione del suo gesto, ci lasciavamo andare a confidenze davanti a una
tazza di caffè con anice, in una casa ancora silenziosa e assonnata. Impagabili
momenti, che, nati dal pretesto della tradizione, portano a comprendere l’affetto
nelle sue sfumature. Una calza per affermare che lei c’era, che la sua non era
da paragonare a quella degli altri con
le cose contate. Le altre calze erano piccole, particolari, lucide e passava la voglia di aprirle, tanto erano
infiocchettate. La sua era sempre la stessa, quella di ogni anno che riempiva a
suo gusto e che a festa finita riponeva per l’anno successivo. Quella calza è il
più bel ricordo: a strisce colorate, che sapeva di zucchero, sempre uguale,
mai una grinza, né un buco, con tutto quello che portava. E dopo qualche mese, ne usciva sempre un piccolo soldino di
cioccolato bloccato da qualche parte e lei mi diceva: “Il bene della mamma è in
tutte le cose, perché la mamma conosce la figlia, gli altri credono di
conoscerla!” Quando mi parlava così, mi sentivo una privilegiata e dovevo
aspettare un anno per un’altra manifestazione simile. Saranno le emozioni ricevute da quei momenti a voler
trasmettere le stesse esperienze con gli stessi gesti agli altri. Così i miei
figli ricevevano calze simili, solo che con loro mi divertivo a organizzare una caccia al tesoro. Quando si svegliavano,
dovevano seguire la mappa con le indicazioni, per trovare la calza in qualche
posto recondito della casa. L’abitudine
si è persa solo per non trovarci più insieme in questa ricorrenza. Si cerca a
tutti i costi di prolungare le emozioni della nostra infanzia mai sopite. Ecco
il motivo per cui la calza della Befana va fatta con cura, fornendola di quello
che piace veramente e non tanto per riempirla. Non va fatta distrattamente,
visto che lì dentro c’è parte di noi, e da come si scelgono le cose, veniamo
rappresentati. Tutti si aspettano la calza della Befana, piccoli e grandi. E
non facciamo in modo che, per risolvere velocemente, con la scusa di non poter
mangiare caramelle, o di fare la dieta, regaliamo carbone!
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