Una
mezza vita fa, in italiano Lontano nel tempo, è un racconto di sessantasette pagine di
Elizabeth Gaskell, autrice inglese del periodo vittoriano. Quando fu
pubblicato, nel 1859, era inserito in due volumi di scritti che comprendevano
un romanzo My lady Ludlow e cinque
racconti.
La storia tratta della malattia
mentale di un ragazzo che la madre affida, prima di morire, alle cure di sua
sorella.
Nel racconto Susan Dixon, figlia
di un proprietario terriero nelle campagne inglesi, in seguito alla morte dei
genitori, si prende cura del fratello William, un ragazzo con una patologia che
nel tempo tende ad aggravarsi. Per mantenere fede alla promessa fatta a sua
madre, in punto di morte, sarà costretta a lasciare Michael Hurst, suo
fidanzato da sempre.
Michael le suggerisce di
mettere il fratello in un istituto, ben conoscendo la malattia di cui è affetto
e i suoi sviluppi. Un modo per dare al ragazzo le cure di cui necessita senza pesare
sulla loro vita. Susan non si sottrae all’impegno: mai porterebbe suo fratello
in un nosocomio, facendolo passare per pazzo. Ci tiene a mantenere il segreto dello
stato del povero Will. In seguito a questa decisione, Michael rinuncia a lei e
prende in moglie una donna del paese. Da quel momento la vita di Susan diventa
un inferno: tutto ruota attorno a suo fratello, tanto da non restarle più tempo
per lei. Nonostante l’impegno e le cure, William comincia a dare segni di
squilibrio, fino a diventare violento e pericoloso. In preda a questi attacchi,
sempre più ravvicinati, il ragazzo muore.
In ogni tempo, i genitori con
figli malati fisici o mentali adottano strategie per far sì che gli altri se ne
prendano cura. C’è poi chi strappa, in punto di morte, la promessa di non
metterli in un istituto. Umanamente è comprensibile ma non basta.
Dopo la morte del fratello,
Susan diventa una donna dura con se stessa e con gli altri. La vita le ha tolto
tutto. Porta avanti la tenuta con forza d’animo e determinazione. Sebbene ancora
giovane, l’aspetto mostra più dei suoi anni. Il dolore di aver lasciato l’uomo
amato si abbatte su quel fisico già consumato dalle fatiche.
A cosa è valso il suo
sacrificio ora, rimasta sola e senza Michael?
Una sera di novembre ha come
un presentimento che qualcosa di brutto stia per accadere. Un urlo giunge a lei
dal fondo della valle. Si precipita fuori e s’incammina per il viottolo
avanzando tra la neve. Dopo un bel tratto trova Michael morto su per un pendio.
Non crede ai suoi occhi, è disperata. Non le resta che avvisare la moglie e i
figli non prima di aver trasportato nella sua casa il corpo esanime dell’uomo
per dargli l’ultimo saluto. Alla fine si prenderà cura anche della famiglia di
Michael portandola a vivere nella sua tenuta.
La Gaskell affrontò questo
tema grazie alla presenza in famiglia di uno psichiatra, il dottor Samuel
Garkell, fratello del marito. A quei tempi, molti scrittori inglesi lamentarono
lo stato dei manicomi in Inghilterra e gli inumani atteggiamenti adottati verso
i pazienti. Il dottor Gaskell proponeva la terapia morale, ridare dignità ai
pazienti per reinserirli nel contesto sociale. L’autrice ripercorre la vita di
un paziente, rivelando che l’approccio propugnato, pur degno di attenzione, non
portava ad alcun successo.
Susan si accorge di non aver
vissuto, di aver lasciato morire il suo amore pur di assecondare la volontà
della madre e scacciare quel senso di vergogna di un fratello pazzo. E per
quanto il sacrificio andasse fatto, niente giustificava l’annientamento della
sua vita. Rimasta sola, la protagonista ripensa alla sua vita, se tante cose
non fossero accadute: se sua madre si fosse curata e non fosse morta mettendole
sulle spalle la responsabilità del fratello; se la febbre non avesse avuto un
effetto così grave su Will da portarlo alla morte; se avesse sentito prima
l’urlo di Michael da salvarlo. Stava riavvolgendo il nastro per andare incontro
ai nodi da sciogliere. La vita, si rese conto, è così breve che non si ha mai
tempo di riavvolgerla di nuovo.
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