La sindrome di Calimero




 Tutti abbiamo fatto esperienza di persone che si lamentano senza sosta di qualsiasi cosa, mettendoci addosso quella fastidiosa sensazione di sentirci più fortunati e talmente lontani dai loro "guai" da non poter conoscere la loro sofferenza. Una sensazione spiacevole poiché, nel momento in cui raccontano o mostrano le loro difficoltà, non possiamo a nostra volta presentare le nostre: potrebbe sembrare una corsa a chi sta più male, una competizione stupida e inopportuna. Intanto sono convinti di vivere i peggiori problemi privi di rimedio, mentre gli altri tutti se la passano bene. 

  Ogni essere umano respira, mangia, soffre, piange, ride, esattamente come tutti gli altri, nel bene e nel male, ma il lamentoso vuole stare alla sommità della categoria e in quella posizione non potrà mai vedere, così preso da sé stesso, le sventure degli altri. Percepisce la sua vita unica in assoluto per limitazione e sofferenze. Gli spetta di diritto la palma di tutta la sfortuna del mondo che, a suo credere, non lede minimamente gli altri.  

  Che ne sa degli sforzi, rinunce, difficoltà ed esperienze degli altri? Magari mentre gli altri erano in situazioni disastrose, lui se la passava allegramente, o forse quando era tempo di pensare al futuro, viveva alla giornata.

  Egli rimugina, fabbrica pensieri negativi in serie, è negligente, ha una bassa autostima, è insicuro e ansioso, si deprime facilmente, ma può anche presentare disturbi più seri. Non accetta lezioni da nessuno e la vuole sempre vinta. Alla base c'è qualcosa di irrisolto, risalente alla sua infanzia, oltre ad avere un carattere predisposto alla lamentela. 

  Difficile veda qualcosa di positivo e molto spesso cade nell'effetto Pigmalione: più vede in negativo più gli accadono gli eventi preannunciati.

Inconsciamente ha bisogno di attirare l'attenzione, abbarbicato alla sua infanzia, quando gli altri si occupavano di lui  ed era dispensato da tutto ciò che ora lo affligge. L'attenzione è un modo per coinvolgere gli altri nel suo giro e avere almeno un punto su cui battere. Nel momento in cui gli altri lo ascoltano, allora diventa sarcastico, cinico, manifestando sottilmente la sua avversione a chi sta bene e non soffre al momento le sue stesse pene. Più che vittima è un carnefice. Responsabili dei suoi mali e disgrazie sono gli altri.

 Sposta il problema all'esterno mentre è qualcosa di più profondo e interno. Dovrebbe cercare di capirsi e capire le situazioni al di là degli altri. Manca al lamentoso la voglia di affrontare le cose e cambiarle, tutto ciò che fa è sempre azioni frammentate, mai parte di un programma, un progetto per il futuro e, come giustificazione dello stallo in cui si trova, dice di dover  pensare a cose più gravi di queste.

 Dà ai problemi soluzioni temporanee e mai definitive, attendendo che qualcosa accada di lì a poco, come Godot e, se niente arriva a sbloccare il tutto, si atteggia a martire. Da un punto di vista psicologico, in questo comportamento si nasconde un desiderio di superiorità. Unico possibile sfogo è appellarsi alla vita degli altri, sottolineando le loro mancanze, il loro benessere o la loro serenità, successi, sminuendoli, ridicolizzandoli, denigrandoli.

 Questo è un modo per allontanare le persone che, sebbene vogliano aiutarlo, cominciano a sentirsi invischiate nel suo mondo, da cui non c'è alcuna via d'uscita. Non mostra la minima volontà di cambiare, semplicemente si adagia alle situazioni lasciandosi trasportare dalla corrente, ma allo stesso tempo, proprio perché crede di stare nel giusto, non si schioda dalle rigidità mentali. È imprigionato in un vortice irreversibile che lo attanaglia e lo opprime. Ecco perché staziona poi in modalità lamento a vita, l'unico mezzo per sbandierare il suo malessere.

 Questa atteggiamento reprensibile andrebbe contrastato con una terapia personale e di gruppo, dove poter scambiare esperienze e capire che gli altri non sono indenni dai malanni e situazioni che crede di vivere come unico soggetto al mondo.

 Ciò che annienta un lamentoso è riconoscere il problema senza trovare le soluzioni definitive. La vita gli sfugge a causa della sfortuna, secondo il suo parere, e non per la sua incapacità, gli eventi lo travolgono e lui soffoca senza reagire. Pertanto invidia gli altri che gli appaiono immeritevoli del loro destino e si sente sfortunato di appartenere al mondo degli sfigati.

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