James Ensor, Autoritratto con maschere, 1899.
Il pericolo di quando si indossa la maschera è di non riconoscersi più, a tal punto da diventare qualcuno a cui non vorresti assomigliare. La maschera la puoi indossare solo qualche volta e non per difesa, come una pausa, un lasciare andare. Usata costantemente reca danno, a noi e agli altri.
Il pregio di essere se stessi è di rendere un favore anche all'altro che è portato, a sua volta, a non mascherarsi.
All'inizio pensa all'ingenuità del suo interlocutore, poi, notando che si tratta del suo stato normale, abbassa le difese e si rivela.
È proprio il rivelarsi ciò che si vuol nascondere, poiché mai come quando siamo noi stessi, siamo privi di difese e questo ci fa paura.
È anche vero il detto degli antichi:" Homo homini lupus", un verso tratto dalla commedia "l'Asinaria" di Plauto, al v.495 dove dice: "Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit novit" (L'uomo per un altro uomo è un lupo, non un uomo, quando l'uno non conosce quale sia il carattere dell'altro), per dire che ogni uomo rappresenta un potenziale nemico per un altro, spinto dall'istinto e dal desiderio di sopraffazione. Una frase che indusse il filosofo Hobbes a credere che più che dall'amore gli uomini fossero spinti dall'interesse verso gli altri, e che sono le leggi a frenarne gli istinti. Anche Sant'Agostino, nelle "Confessioni", afferma di non aver paura di niente se non dell'uomo.
Stando così le cose, dobbiamo tenerci distanti dagli altri e non mostrarci mai per quello che siamo, a tale scopo dobbiamo indurirci, presentare la nostra scorza e mai far penetrare gli altri nei nostri meandri più profondi. Gli altri ci possono tendere reti e trappole in cui cadere. Ma chi è in buona fede manifesterà solo se stesso. Se invece è avvezzo a gabbare il prossimo, vuol dire che si aspetta di essere trattato allo stesso modo.
Le persone sensibili non hanno bisogno di maschera, è la stessa sensibilità a fare loro da timone. Sanno, anzi sentono la doppia faccia dell'altro, lo smascherano prima ancora che ci provi, sono empatici, sanno mettersi nei panni degli altri, avvertono quando dicono il falso e, pur agendo con grazia, preannunciano i loro sentimenti leggendoci intenzioni e obiettivi. Ciò permette alla persona sensibile di scegliere se allontanarsi da chi è poco chiaro o affrontarlo. Nel secondo caso le speranze che l'altro possa migliorare sono scarse, per cui molto meglio abbandonare il campo lasciandogli intuire il motivo.
Bisogna conoscersi molto bene per permettersi di indossare la maschera, e una volta dentro non sei più uno, ma almeno due. Se poi ne indossiamo una per ogni persona che incontriamo, viviamo una vita così affollata che è difficile riconoscere la nostra prima faccia. Ci sono poi quelli che sono così abituati ad averne tante che se ne avessero una sola si sentirebbero abbandonati. Ma ci sono anche quelli che non ce l'hanno e non la metteranno mai. Altre volte si cerca un'altra faccia per volersi mostrare diversi, sfidare se stessi. Chi è tranquillo ambisce a essere duro, chi aggressivo a simulare un agnellino, chi furbo vuole vestire i panni dell'ingenuo e chi scaltro si dimena a voler sembrare un incapace. Il cambio maschera è anche un non sapere chi siamo, per cosa propendiamo, cosa prevalga in noi. Se in tutta la vita nemmeno sappiamo chi siamo, come vogliamo affrontare gli altri.
Molti la indossano credendo di avere qualcosa da perdere, per evitarsi le reazioni degli altri, per avere un'alta considerazione di se stessi, per non voler condividere idee e fatti, temere di soffrire, non sopportare gli effetti delle situazioni, per noia.
Ma chi ha sperimentato a dosi massicce il dolore, la tristezza, la paura, la sofferenza, la prepotenza, la sopraffazione, la fatica, non ha paura degli altri e li affronta a viso aperto.
C'è, in questo caso, la possibilità che confrontandosi senza maschera ci si possa riconoscere per la prima volta, portando alla luce ciò che nel tempo è rimasto al buio.
Dimostrare la propria fragilità non è debolezza, così come accettare i propri limiti e paure è segno di maturità, di umanità. I sentimenti fittizi, a furia di copiarli, diventano di plastica.
L'altro dovrebbe essere il nostro specchio: le sue acque limpide per lasciar riflettere chi siamo realmente e a sua volta vedersi in noi allo stesso modo.
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