La mamma



Niente matura una donna come l'esperienza di essere madre. E mai comprendi così bene una persona, anche nelle sue complessità, come quando sei mamma! Detto così sembra quasi che fare la mamma sia sostenere un esame che abiliti a essere una sorta di tuttologa, ricca di sentimenti e preparata su ogni argomento intorno ai figli e ai vari componenti della famiglia. Niente di più sbagliato. Una mamma è prima di tutto una persona, una donna, un essere con un delicato compito: quello di mettere al mondo figli e allevarli.Essere mamma è un'esperienza che non finisce mai di stupire,un abito mentale che si indossa nel momento in cui ha un altro essere accanto che dipende da lei; è una condizione nella quale viene immessa e da questo momento in poi non può retrocedere, ma è portata a seguire una strada ben definita che chiede solo di essere percorsa.
L'avventura comincia dal momento in cui sa che in lei si sta formando un nuovo essere e lo sente crescere e ne avverte i movimenti.Nei primi nove mesi di contatto profondo col suo bambino c'è tutto un mondo che non potrà mai raccontare agli altri perchè nessuno potrebbe capire dei loro discorsi,delle capriole dentro di lei, dei sussulti , delle parole che dice solo a lui e come da lui le giunge l'eco di rimando. Sì, perchè già in questa fase si comprendono, già in questa fase sono uniti più che mai. Ed è la cattiveria più grande di questo mondo quando glielo portano via e se lo ritrova accanto ma svuotata come un sacco senza contenuto!E poi il loro primo incontro dove lei sembra di sapere da sempre che sarebbe stato così e tutto è perfetto in lui, non gli cambierebbe nemmeno un puntino.
Una mamma sperimenta il significato della dedizione completa, proiettata verso il suo bambino che le chiede: attenzione, cibo, affetto, cure, sicurezza dolcezza...Essere mamma è imparare a gestire i sentimenti ogni volta che il figlio fa i conti con la realtà, e nel bene e nel male, deve insegnargli a vivere e tutto si scontra con i suoi pensieri e i suoi sentimenti che si allenano in un'altalena continua. E' pregare continuamente: per la sua salute, per la sua felicità, per il suo avvenire, per le sue responsabilità, tutto questo mentre fuori risulta essere la persona più solare di questo mondo e gli altri non possono vedere le battaglie che combatte dentro per tranquillizzarsi.
Principalmente è imparare cos'è l'amore vero, quello che dispensa continuamente senza risparmio e qual è il pozzo a cui attinge per il rifornimento continuo, inarrestabile. E da sola si chiede come fa, si sorprende a vedere dove prende tanta forza e, mentre in altri campi emergono facilmente le sue defaillance, qui, è sempre impeccabile, la prima, la più efficiente.Deve sapere, poi,come distribuire il suo affetto in modo equo, come arrivare al cuore dei suoi figli attraverso le loro corsie preferenziali, senza strafare e senza deficitare; come dosare il suo amore , gli atteggiamenti, le azioni, le parole, i contenuti in modo che nessuno possa pensare che stia dando di più all'altro. E in questo incessante turbinio impara l'umanità in modo "divino", anche quando i figli sono autonomi e possono stare lontani da lei senza avvertire nessuna crisi per il
distacco.E poi impara cos'è il tempo, il suo scorrere, il suo valore, le metamorfosi e le trasformazioni che esso porta. La sua
pazienza comincia quando il suo piccolo è nella culla, lo allatta e si snerva, e le dà mille notti insonni e prega che
passi in fretta il momento difficile...e poi cambiano i ritmi e deve eseguire con lui i compiti e poi ci sono le feste, le palestre e le uscite,e poi la sua prima partenza, la lontananza, il lavoro, una vita staccata da lei, e si chiede come sia potuto accadere che sia passato tutto questo tempo senza accorgersene! Il figlio è grande ormai, un uomo, e di tempo n'è passato e quasi non l'ha visto scorrere e non comprende che il tempo è passato soprattutto su di lei portandosi via la stanchezza ma anche la sua vita. E allora, incredula di aver fatto volare via tutti questi giorni, comincia a rievocare uno ad uno raccontando a suo figlio tutte le ansie che le ha procurato, tutte le notti e le paure, come di quella volta quando il suo bambino aveva la febbre alta e lei preoccupata gli ha dato una massiccia dose di tachipirina e lui non ha retto ed è svenuto,
col rischio di star male anche lei perchè in attesa di un altro bambino...O di quella volta che è caduto dal letto e lei è saltata come un automa col pericolo di farsi male seriamente...o ancora di quando studiava con lui per le sue interrogazioni e poi i suoi esami...ma ora i figli stentano a credere alle sue parole.Il tempo lo apprende dai figli: a gestirlo, ad amarlo, a ricordarlo, a risparmiarlo, ad attenderlo e a misurarlo! Una mamma conosce solo il verbo imparare, sempre, perchè è come
assistere a un miracolo: la crescita di suo figlio che giorno dopo giorno si trasforma, cresce, matura, diventa la sua identica forma e carpisce i suoi pensieri e sa di lei come forse lei stessa non si conosce.Essere mamma è progettare,è vivere in simbiosi con il figlio, è assistere, sorridere, partecipare,condividere,stancarsi,ricominciare,attivarsi, ascoltare,
vivere...La mamma deve insegnare a gioire della vita, a dare il giusto valore alle cose, a scoprire la vera bellezza. La mamma insegna ma non sa di farlo, sono i suoi esempi a parlare per lei e soprattutto i suoi occhi. Negli occhi di una mamma c'è tutto
un mondo che un bambino riesce a leggere, è lì che impara a sua volta, leggendo tutti i giorni nei suoi occhi che sanno sempre di luce e di amore.Essere mamma è sentirsi continuamente l'autrice di un miracolo al quale partecipa giorno dopo giorno.

Domani è un altro giorno

Nelle ultime battute del romanzo "Via col vento", Rossella O'Hara, rivolta a Rhett,  che la sta lasciando, gli risponde con una frase che nel tempo ha assunto valore quasi filosofico: "Dopotutto, domani è un altro giorno!"



Rossella vuole riconquistarlo e affida al domani l'impegno di farcela di nuovo.
Più che un augurio di poter riconquistare Rhett, Rossella sembra dica questo con tono distaccato, quasi a volersene fregare di quanto accadrà e la frase assume contenuti un po' più freddi o comunque distanti se la isoliamo dal contesto in cui nasce.
Il finale rispecchia l'indole della protagonista che in tutto il romanzo lotta senza arrendersi mai, per raggiungere il suo scopo o quanto meno avvicinarsi il più possibile agli obiettivi cui vuole tendere. Questa frase lascia intendere che la vita va presa così come viene, che non bisogna piangersi addosso, che ogni giorno porta con sé la sua croce ma bisogna guardare al domani sempre con occhi nuovi. Se da una parte è la logica conseguenza delle difficoltà che la vita ci presenta costantemente, che siamo portati a guardare il domani con fiducia e rinnovamento, senza abbatterci mai, dall'altra, in questa frase, si nasconde la voglia di tagliare col passato. Dire che domani è un altro giorno, vuol dire che è un giorno diverso da oggi, staccato dal vissuto avuto fino a questo momento e partire da zero.
Questo concetto rispecchia un po' la filosofia di oggi che ci vede protagonisti sempre e comunque della nostra vita, tanto da non accettare sconfitte e ci proietta in un futuro che ci vuole diversi da ieri, attivi più che mai, vogliosi di novità, quasi a scalzare gli effetti negativi vissuti. Ogni giorno, pur essendo nuovo e diverso, ha una sua continuità che non può essere vista come soluzione ma come una continuazione di ciò che era prima nel bene e nel male.
Se Rossella O'Hara non fosse stata così cinica vicino a quella porta e non avesse pensato in modo egoistico, Rhett Butler non l'avrebbe lasciata così drammaticamente.
A volte preferiamo nascondere i nostri reali e profondi sentimenti e trattare le avversità con l'orgoglio che, secondo noi, ci preserva dalle delusioni della vita. Molto spesso è nel tentativo di "salvarci" da qualcosa che cadiamo in un baratro profondo, senza alcuna possibilità di tornare indietro.
L'orgoglio è, tra i sentimenti, quello più nefasto, è un paravento debole e inutile che fa alzare barriere vertiginose e rende duri più che mai. Preferisco a questo sentimento la coerenza e la continuità dei giorni visti l'uno di seguito all'altro, con le sue esperienze che mai drasticamente vanno cancellate, illudendoci di essere capaci di azzerare il passato. La felicità è anche riflessione, attesa, esitazione, è un percorso lento e a volte anche accidentato e dobbiamo imparare a leggere gli eventi non solo dal nostro punto di vista ma anche nella loro complessità. Domani è un altro giorno, nel senso che si aggiunge a quelli vissuti, rappresentano il nostro bagaglio e nessuno parte lasciando le valigie, esse fanno parte di noi e dentro ci sono tutte le cose di cui abbiamo bisogno per la nostra permanenza nel luogo in cui ci dirigiamo. Chi viaggia senza bagagli, non ha una meta precisa e va allo sbaraglio. Domani è un altro giorno, nel senso di dare vita al nuovo giorno tenendo conto di quello prima, di cosa ci ha dato e dove ci ha portato. Sarebbe triste vivere ogni giorno con azioni avulse dal contesto precedente. Anche cominciare continuamente volendoci rinnovare ad ogni costo può rivelarsi deludente.

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Amore senza limiti

Riporto questo bell'articolo appena letto in modo integrale di Simone Marini, perchè penso che possa farci riflettere su un argomento sempre di nostro interesse come l'amore.
La tentazione più grave e spesso la meno avvertita, è il pensiero di amare quelli che possono e sanno di fatto rispondere e ricambiare.
Sembra che l'amore sia un contratto: io ti do se tu mi dai, e ti do tanto quanto voglio ricevere da te. Così si inventa non più l'amore, ma un egoismo sempre più pesante e minaccioso, sempre più camuffato di saggezza e perfino di giustizia, ma non s'inventa nè l'amore nè la vita. Entra in gioco non più la fantasia ma la matematica che vuole contare , la piccola regola del tanto quanto.
Il meccanismo della vita è un altro: è il meccanismo del dono, dello straripamento della realtà che non può restare chiusa e ferma col pericolo di marcire e di disfarsi, è il meccanismo di una superiorità che non viene da nessun diritto, ma soltanto dalla percezione di "essere" qualcuno, e di "avere" qualcosa che non termina in se stessi. Altrimenti dove va la gioia di poter inventare la vita? Si diventa schiavi dell'altro, delle risposte, delle proposte, dell' iniziativa che non viene da noi ma da altre persone, e quando sono gli altri che inventano mai raggiungono la nostra vera personalità, mai colgono il nostro volto più genuino.
La nostra vita è sempre e solo un dono d'amore: se tutto diventa così, se anche i momenti negativi di fatica, di sofferenza, di sconforto entrano nella festa, entrano a far parte della vitalità che c'è in noi, tutto cambia, tutto diventa luminoso. Che cosa pensiamo di inventare di più e di meglio di un amore senza confini, un amore che mai potrà essere smentito nè tradito, un amore che cerca solo di potersi esprimere, senza chiedere nulla?
Che cosa possiamo chiedere al mondo se non che ci lasci amare, servire, soddisfare le necessità più o meno vistose che abitano nel cuore dell'uomo? La nostra vita di uomini non ha nessun altro senso che questo: poter amare, potersi donare.
Contro ogni mania di potere, di accaparramento, di sfruttamento, contro ogni teoria che sotto diverse forme tende a rendere l'uomo vittima dell'uomo, noi siamo di quelli che invece affermano la gioia e la grandezza di poter amare, servire, di spendere la vita per gli altri, di godere la vita come una festa con gli altri.
Amare vuol dire giocare il tutto per tutto, donare senza contare.

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Diverse forme di violenze


Nella Psicoanalisi dell'amore, Erich Fromm affronta l'argomento violenza.


Vi sono diversi tipi di violenza e ciascuno corrisponde a una rispettiva motivazione inconscia. E solo attraverso la sua comprensione che se ne capiscono le motivazioni, le sue origini, il suo decorso e la sua carica di energia. Si passa da un tipo di violenza normale a un'altra gradualmente più importante e grave.
La più leggera forma di violenza è quella "ludica" che si esercita per ostentare abilità e non è motivata nè da odio, nè da distruttività. Vi è poi un tipo di violenza reattiva, esercitata per difendere un proprio bene che può essere la proprietà, la dignità, la libertà e si mette in atto per timore. Questo tipo di violenza ha per fine la conservazione. Anche la frustrazione produce una violenza reattiva, vale a dire un comportamento aggressivo, quando venga frustrato un desiderio o un bisogno. Ci sono poi sentimenti come l'invidia e la gelosia, due tipi di frustrazioni che danno luogo alla violenza.
Un tipo di violenza molto più alta è quella vendicativa. Nella violenza reattiva si cerca di opporre resistenza all'offesa, ma d'altra parte, qui l'offesa è già stata arrecata e non la si mette in atto per difendersi, ma per annullare l'offesa in modo irrazionale, con la rivincita. Talvolta la vendetta diventa necessaria, quasi lo scopo della vita. Si può avere anche un'altra reazione alla violenza, quando una persona profondamente delusa può cominciare a odiare la vita.


C'è poi l'impulso al controllo totale e assoluto su di una persona e questo è sadismo.
Molto spesso dietro alla violenza c'è una vita non vissuta, ci sono sentimenti repressi, ascolti non avuti, attenzioni non ricevute.

Analizzare le motivazioni della violenza è una pretesa alquanto difficile, presuppone itinerari di vita contorti e non sempre facili, disattesi o demotivati.
Ci sono poi tipi di violenze subdole, quelle che si presentano quasi come cortesie ma che sfociano lentamente in insofferenza, disturbo, fastidio e si traducono in atti poco gentili e poi sempre più decisi e convincenti tanto da esercitare sull'altro la propria volontà.
Questi tipi di violenze non possono essere inquadrati, sono  difficili da scorgere e per essi non c'è alcuna prevenzione o possibilità di evitarli. Accadono come eventi e basta, quasi fossero casi del destino o peggio momenti sa superare.
Capire la violenza è un modo per attuare strategie di risoluzioni o di contrasto contro eventi che sembrano inspiegabili, che vanno dal semplice diverbio, ad una mancanza o un'offesa o ancora un contrasto forte fino a capire i moventi che spingono all'odio gli uni contro gli altri.
L'azione che porta violenza è sempre un arresto del bene, un bloccare la biofilia, cioè l'amore per la vita. Ma la legge naturale prevede che all'interno della società vi siano non solo forze biofile ma anche necrofile cioè che vanno a favore della morte. Sembra quasi una compensazione, un bilanciamento tra le due forze che si combattono: il bene e il male.
A volte una stessa persona può contenere in essa entrambe le forze e manifesta ora l'una ora l'altra con magnifica nonchalance.
Prevenire o prevedere la violenza è sempre difficile, ma trovare le strategie per arginarla è un dovere, per evitare che diventi un fatto di ordinaria quotidianità.


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IL PADRE

La festa del papà arriva in concomitanza con quella di San Giuseppe e non a caso. Il padre per antonomasia è l'esempio della grande pazienza, dell'amore paterno verso i figli, della responsabilità familiare. Oggi il papà attraversa una grave crisi d'identità. Egli ha perso l'autorità e la forza di un tempo. Siamo passati dal pater familias, dalla famiglia tipicamente patriarcale con un padre padrone, a una famiglia dove i suoi componenti aprono, a loro volta, altre relazioni. Quello che manca ai padri di oggi è proprio l'autorevolezza, il saper dare le giuste direzioni ai figli e avere senso di responsabilità prima ancora di insegnarlo.

I figli, più che di parole, hanno bisogno di esempi e il padre è in assoluto il principale riferimento. Eppure, malgrado la perdita di prestigio come figura parentale, secondo le statistiche, la prima parola che un bambino pronuncia è proprio quella del papà e questo sin dal tempo di neanderthal.
Figure paterne autoritarie esistono ancora oggi, uomini che pensano ancora di poter gestire i componenti di una famiglia come pezzi di proprietà. Fortunatamente sono la minoranza, ma abbastanza incisivi con i loro comportamenti da creare danni in modo irreparabile.
La stragrande maggioranza dei papà di oggi soffre per la sua incapacità a gestire il proprio ruolo all'interno di una famiglia sempre più divisa.
Spesso assume un atteggiamento alla pari del figlio: si veste allo stesso modo con esempi poco idonei e modi di fare più da amico più che da papà. Il papà debole pensa che, dando una pacca sulla spalla del figlio e trattandolo come un amico, risolve i problemi di crescita del ragazzo e risparmia tempo.
Il ruolo del padre è ben preciso: educare dando ai figli l'opportunità di scoprire la magia della vita attraverso insegnamenti, buoni esempi e soprattutto autorevolezza.
I figli chiedono punti di riferimento, padri decisi con esempi forti e convincenti.
Il rapporto con i figli è un rapporto in itinere, si cresce insieme, ci si regola strada facendo senza perdere l'umanità che il ruolo richiede. Dagli insegnamenti ricevuti , il figlio forgerà il suo ruolo di domani e rispecchierà in tutto quello di suo padre. La società di oggi risente di questa mancanza di un buon punto di riferimento e se moltissimi papà si trovano nella situazione di essere troppo teneri , è perchè a loro volta hanno avuto padri che hanno fatto altrettanto con loro.
Il padre è un modello al quale i figli si riferiscono e vogliono somigliare e ciascun figlio assimila dal proprio padre atteggiamenti e modi di fare ma anche stili di vita e pensiero.
Un padre, oggi, vive problemi che una volta erano impensabili per un uomo, come quello della lontananza dei figli, quando ci si separa. Una volta era la mamma a subire determinate discriminazioni, oggi invece la parte debole è il papà con una quantità di problemi da affrontare e nel districarsi in questi ingarbugliati fili, vive una paternità difficile e debole.
Il regalo più bello che un papà può fare ai propri figli è donare il suo tempo prezioso per aiutare il loro processo di crescita nel delicato compito che la vita richiede.
La presenza attiva di un papà vale molto più di tanti maestri.
Il padre è come un faro a cui ogni figlio tende sempre , anche in età adulta quando sembra che non abbia più bisogno della sua luce.



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Mal di stagione o altro?

Tutti parlano con una certa facilità di depressione e a volte si ha l'impressione che si tratti di una momentanea stanchezza o una cattiva volontà a svolgere i propri compiti o mantenere fede ai propri impegni.

Seneca ne dà una descrizione perfetta nella sua opera "De tranquillitate animi" dove la definisce come "un'insoddisfazione, un'agitazione dello spirito che non trova requie, una passiva e deprimente malinconia per questo stato di inattività, specialmente quando ci vergogniamo di confessarne le ragioni e il ritegno ci fa chiudere l'angoscia in noi stessi e le nostre passioni, occultate senza possibilità di manifestarsi, si soffocano da sole; di qui l'angoscia, malinconia e mille ondeggiamenti di uno spirito fragile, illuso dalla speranza, ora afflitto dalla delusione; ne consegue lo stato d'animo che induce a detestare la propria inattività.
Lucrezio aveva analizzato lo stesso problema nel suo "De rerum Natura" affermando"che in questo modo ciascuno fugge sempre se stesso".
Di questi tempi, poi, con la primavera che incalza, anche i mali di stagione non migliorano la situazione e si vanno ad aggiungere a quella depressione nascosta che si manifesta nei momenti meno opportuni. Ogni anno, con l'arrivo della nuova stagione, siamo presi da piccoli malesseri più o meno gravi e spesso, nessuno fa caso alla depressione, che si presenta in forme diverse e modi differenti.
La depressione spesso alberga in noi senza manifestarsi completamente. Essa nasce nei meandri più profondi dell'anima e si avvinghia a teneri arboscelli come i nostri momenti no, le nostre malinconie, i nostri disagi, le nostre paure che cambiano con i ritmi della nostra vita, così come le aspettative o i bisogni puntualmente disattesi. La depressione è un male che si insinua in noi in seguito a determinati eventi esterni, nella sua forma esogena, e dinamiche interiori, nella sua forma endogena. In ogni caso scava dentro e una volta che ha trovato il suo posticino, vive in simbiosi con noi, come una voce interiore che ci bombarda continuamente di domande, di richieste, ci manifesta malcontenti e paure a cui non sappiamo rispondere. E' questo il cosiddetto male di vivere, che si presenta perchè non siamo abilitati, patentati alle esperienze della vita e siamo sprovvisti di qualsiasi antidoto per le avversità, alle quali spesso non siamo preparati. Scatta qui il nostro rifiuto ad affrontare la vita e, piuttosto che reagire, cadiamo in uno stato di torpore totale che assopisce sensi e anima.

Seneca, grande autore latino nato nel 4 a.C., già nell'antica Roma, definiva questa condizione di scontentezza perenne, noia. Essa si manifesta nell'uomo quando vuole sperimentare nuovi modelli di vita o nei momenti in cui si vengono a trovare coloro che sono sopraffatti da un profondo senso di frustrazione. Per Seneca sono quattro i gruppi di uomini depressi, assaliti dalla noia: quelli tormentati dalla loro instabilità caratteriale ingenerata da una profonda insoddisfazione; quelli che sono avviliti da una sconfitta e avvertono il peso di un grande impotenza e sfiducia nel riprendere un nuovo cammino; quelli che non riuscendo a realizzare ciò che si propongono, cadono in uno stato di frustrazione e avvilimento; quelli che scontenti di sè, sono incapaci di mutare perchè gravati nell'animo da una innata inerzia. Molteplici sono gli aspetti che produce la noia, ma tutti nascono da un' unica causa determinante: il sentirsi sopraffatti dagli eventi e dalle paure della vita.

Da cosa nasce questa insoddisfazione a sua volta? Da desideri, bisogni, attenzioni e sogni non realizzati. Oggi sono molte le forme di depressione che si manifestano a tutte le età e per i motivi più disparati come per un parto o un impegno gravoso, assistere una persona ammalata, una difficoltà nel lavoro, essere abbandonati, non sentirsi all'altezza delle situazioni , ma tutte hanno in comune il fatto che l'inizio è scaturito da una difficoltà di adattamento al nuovo ordine venutosi a creare, difficoltà ad accettare gli eventi della vita che ci fanno soffrire e non abbiamo la forza necessaria per affrontarli. E' importante avere persone intorno che si rendano conto della nostra difficoltà e ci aiutino a superare i momenti difficili grazie anche all'intervento di esperti in campo.

In questi casi, non bisogna aspettare che il "male " passi da solo, come fosse un momentaneo disagio. La depressione non è un male passeggero, ma qualcosa di più subdolo che si insinua lentamente e noi ne portiamo il peso senza poter reagire, perchè colpiti soprattutto nella nostra energia vitale e nel nostro entusiamo di vita. E' un male che va tirato fuori con l'aiuto di esperti i quali, attraverso l'ascolto ci permettono di scoprire le motivazioni del nostro malessere o comunque svelarci verità che da soli non saremmo capaci di fare, fosse solo per essere ascoltati senza giudizio nè condanna.

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Rosella, lo specchio dell'anima

Rosella", lo specchio di un'anima."


Rosella" (Sangel Edizioni) dell'autrice Filomena Baratto è un romanzo biografico che racconta la vera vita della madre e delle origini della sua famiglia.


Un romanzo intenso ed appassionante, ma soprattutto molto interessante che riporta il lettore in un'epoca andata, in un'atmosfera rustica e nostalgica dei tempi che furono. Soprattutto se si pensa alle famiglie dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, oltre che dei nostri genitori. L'autrice descrive con minuzia di particolari ogni ricordo bene impresso nella sua memoria, ogni passaggio, ogni scena, ogni luogo e, naturalmente, ogni personaggio, raccontandone vizi, virtù, atteggiamenti, malinconie, disagi, problemi e certamente onori e oneri. L'autrice, quindi, nel raccontare le proprie origini, in realtà rivisita la sua memoria, ripercorre il destino di sua madre e quello di tutta la sua famiglia.E' un racconto piacevole, che non ha sbavature, che sa esplorare l'animo umano dei suoi personaggi, che sa trovare e far riemergere i valori di un tempo, quelli che nella nostra società odierna sembrano sbiadire sempre più. Un romanzo che si legge con gioia, che si scopre poco alla volta, che si sente proprio, pagina per pagina, che si fa quasi proprio nel seguirne il percorso, perché la storia consente una scoperta dietro l'altra, con la consapevolezza che siano "avventure" vere. Il linguaggio è semplice, scorrevole, risoluto, pratico e permette al lettore di immedesimarsi, di venire coinvolto, a sua volta, dalle vicende che si rincorrono e che trovano una propria naturale evoluzione.Un romanzo che va letto, che va sfogliato e magari vissuto con i suoi personaggi e con l'autrice che ne è fiera testimone con il coraggio di esporre le proprie vicende personali, di rendere partecipe il pubblico, di coinvolgere i lettori e permettere agli stessi di comprendere ciò che ha costellato il suo destino."Rosella" dell'autrice campana Filomena Baratto è reperibile in tutti i siti di shopping on line ed ordinabile in ogni libreria italiana.


di Tiziana Iaccarino.



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