Si è constatato, da più parti, che oggi c'è la tendenza a scrivere romanzi autobiografici, a raccontarsi in forti confessioni che sembrano piuttosto sedute psicoanalitiche dove si assolve sia alla funzione di medico che di paziente. Si dice che siano state incrementate anche dai blog, dai social network e dai reality che dilagano.
Qualcuno dubita anche che le storie che passano per essere vere lo siano veramente, ma questo ci immette in un discorso diverso che mi preserverò di trattare. In passato, il genere autobiografico era considerato puro narcisismo, oggi rappresenta un segno del nostro tempo. Uno scrittore che si accinge a trattare una storia vera, fa uno sforzo notevole mettendosi in discussione, elaborando un vissuto che non sempre è facile buttare fuori, ma che, evidentemente, ha la necessita di fare per rispondere a un bisogno interiore. Egli dimostra, man mano che procede nella sua storia, che l' interlocutore principale a cui si riferisce è proprio lui.
Nel raccontarsi c'è una buona parte di narcisismo unito a una creatività sorprendente.
Il mito di Narciso ci pone davanti a un dilemma: specchiandosi nella fonte, Narciso si sottrae agli altri per chiudersi in se stesso o, forse, si riconosce per la prima volta?
Se leggiamo il mito in chiave freudiana, dobbiamo ammettere che raccontarsi può essere un limite per non confrontarsi con gli altri, tanto che il giovane, attratto dalla sua immagine nell'acqua, se ne innamora e non riesce più a staccarsene, fino a cadervi dentro e morire.
Questa può essere una spiegazione plausibile ma non esaustiva.
Mi piace anche l'interpretazione che Jung dà a questo mito, cioè quella di cercare un modo per sopravvivere al distacco della propria immagine, evolvere e acquistare una coscienza maggiore di quello che si è.
Il troppo raccontarsi, oggi, dimostra una difficoltà a riconoscersi, a collocarsi o anche a rapportarsi agli altri e paradossalmente, la nostra conoscenza più interiore, avviene proprio attraverso la relazione con gli altri. Molto probabilmente, per arrivare, come Narciso, a innamorarci della nostra immagine, anche l'altro ha rinunciato alla possibilità di relazionarsi con noi o lo ha fatto in modo disinteressato così da lasciarci soli. Allora l'altro bisogna cercarselo dentro, scavare nel proprio animo tirando fuori i contenuti più profondi e sondare anche quello che non si potrebbe.
Non vedo tanto un narcisismo in giro, quanto piuttosto un disagio interiore che emerge da più parti e che è segno di una società un po' confusa, incapace di legare le sue trame. Conosciamo noi stessi relazionandoci agli altri, ma sono proprio queste relazioni vere e autentiche che oggi mancano. Prediligiamo l'immagine, proprio come Narciso, non vogliamo impegnarci fino in fondo a conoscere l'altro, perchè così, si dice da più parti, soffriamo meno. Quello che realmente manca è l'ascolto, quello che ci pone davanti all'altro senza pregiudizi, intendendo l'altro un altro me stesso e tutto questo in un mondo virtuale che ci mostra un surrogato per ogni cosa, ma che ci fa perdere il contatto reale. La cosa più difficile a questo mondo è proprio quella di conoscersi profondamente.
Sant'Agostino diceva "Conosci te stesso", tutto il resto viene dopo e noi impieghiamo una vita intera per farlo.
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