Ogni tanto passo sottomano testi studiati e non posso fare a meno di ricordi e considerazioni. Spesso mi ritrovo con quelli di letteratura e classici latini un po' sparsi dappertutto e ritornano intere pagine di cui ricordo rigo, frase, sottolineature, periodo, stato d'animo. Riaprendoli è come riscoprire quel tempo in cui studiavo e allo stesso tempo il mondo antico studiato. Ero ragazzina quando vedevo le commedie di Plauto nell'anfiteatro di Pompei e dopo, durante lo studio, ritrovarmi con Plauto, fu un vero piacere. All'anfiteatro non mancavo mai e delle autentiche 21 commedie dell'autore, una decina le avevo viste prima ancora di studiarle. Qualche pagina dopo, Cicerone, orazioni, opere: Le Catilinarie, l'Epistolario, l'attività oratoria, quella Pro Sexto Roscio Amerino portata come traduzione con le Tusculanae disputationes. Quando studiavo a suo tempo, mia sorella voleva, con la scusa del caffè, perdersi in chiacchiere, e io a dirle:"Mi dispiace, oggi sono con Cicerone". Dopo qualche altro giorno, stessa richiesta e io le rispondevo di stare con Virgilio. Un giorno, stufa dei miei continui dinieghi, mi disse: "Ma 'sti Romani, quanti sono?" Io sorridente:"Cinque secoli di gente!" Mi divertivo poi a ripetere i versi di Virgilio, tra Bucoliche, Georgiche ed Eneide a memoria, mentre ero occupata a fare qualche servizio in casa e prontamente qualcuno mi diceva: "Che vai blaterando?"
Mentre ripetevo:"Tityre, tu patulae, recubans sub tegmnine fagi" scandendo la metrica, oppure:" Sic fatur lacrimans classique immittit habenas et tandem Euboicis...". Mi divertivo a rispondere con versi quando gli altri mi parlavano e, pensando li prendessi in giro, si arrabbiavano. Per ciascun autore c'era qualcosa che mi colpiva, un fatto che mi restava in testa. E le satire, da Lucilio a Orazio a Persio, Giovenale, e poi Tacito, lo storico più acuto dell'età imperiale con le sue versioni, roba da flebo, e che quando traducevi poi ti veniva da dire:"Ah, però, si può fare". Contenuti che una volta appresi non ti lasciano più. Al primo esame, l'assistente del professore scrisse: "Legge pure in metrica!", su una sorta di pizzino da mettere davanti al prof per il seguito dell'esame. Mi spiegò poi che significava, che nel mare magnum della metrica sbagliata, io avevo letto bene tutte le opere, quindi non era uno sfottò, come avevo inteso.
Per me i libri studiati sono libri sempre aperti, da cui un giorno traggo un verso, un altro una parola, un altro una frase, una tragedia, una commedia, un insegnamento. Anche i ricordi di quando si studiava, non sono da meno. Per ricordare la trama dell'Eneide, libro per libro, scrissi su un rotolo di carta da parati e, per ogni libro, rappresentavo qualcosa, per cui guardavo l'immagine e raccontavo; per Lucrezio leggevo ad alta voce il De Rerum natura per aiutarmi con l'ascolto, mentre gli elegiaci avevano un quadernetto a parte in cui li avevo relegati. Per la scansione metrica usavo il metronomo, i corsi monografici, mai di pomeriggio, o a sera, dopo le 18, oppure di mattina presto. Prima degli esami, nessuna distrazione, si andava in ritiro a oltranza e il giorno dell'esame, come una zombie, camminavo tra i vivi in trance. Quando sentivo il mio nome finiva lo stillicidio. Davanti al professore, come per magia, mi riprendevo e invece della paura cominciava quel parlare e parlare come se qualcuno mi avesse dato la carica. L'assistente del professore del primo esame di latino vedendomi come "Cristo in croce" mi esortò così: "Stia su, è solo un esame e ha la faccia distrutta. Su, mi dica, di chi vuol parlare?" E come facevo a saperlo se in ogni autore si nascondeva un'insidia. Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che disse: "Proporrei Cicerone", ecco proprio quello che mi ci voleva. Fortunatamente fu un esame corposo e felice e mentre metteva il voto per mandarmi dal prof di cattedra, mi chiese perché non fossi contenta. Gli risposi che ero esausta più che felice, che non facevo vita mondana, non uscivo, non prendevo un giorno libero, ero una sequestrata, per dire che era vero di aver preso un bel voto ma dietro c'era un gran lavoro.
"Lei è una bugiarda!"
"Comeee????"
"Lei ha conferito su cinque secoli di autori e non fa vita mondana? E dove lo trova uno più mondano di lei!" Capii l'antifona e scoppiai a ridere. A casa dissi che in serata sarei uscita con Tacito per una serata mondana, dando inizio allo studio del secondo esame con le Storie e gli Annali da tradurre e ricordai ai miei che la vera vita mondana era conversare con gli antichi, non altro.
Mia sorella, con grande senso dell'umorismo, disse che, se avesse avuto sotto mano Tacito, lo avrebbe fatto "pezzo pezzo". Per un caffè insieme ha dovuto aspettare la fine, i tempi non combaciavano mai. Ovviamente il caffè includeva un ciarlare no stop, che tra l'altro mal si addiceva a una "vita mondana" come la mia.
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