Il Dialogo d' Ercole e di Atlante è il secondo tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi, del 1824, e pone l'accento sul decadimento degli uomini. La voglia di tirarlo fuori nasce da una corrispondenza col mondo moderno, dove si avverte un vuoto esistenziale per la perdita di valori, di giustizia e per la connivenza con tutto ciò che andrebbe bonificato. Uomini che seguono solo i loro obiettivi, continuamente disillusi, privi di accordi comuni arrancano nella vita senza mai raggiungere la vera felicità. Attraverso la filosofia e il mito, l'autore pone l'accento sulla condizione di abulia dell'umanità contemporanea rispetto al passato.
Il testo è in forma dialogica, propria di argomenti seri e profondi, alla stregua del Simposio di Platone, ma qui si crea un'eccezione e si dà originalità alla prosa con un aspetto comico satirico risalente a Luciano di Samosata. La prosa è frizzante, spezzata, ricca di ironia, a tratti nervosa, tagliente, che ricalca la lingua parlata.
Il dialogo avviene tra Ercole, figlio di Giove e Alcmena, e Atlante, che, in seguito al suo combattimento con altri Titani contro gli dei dell'Olimpo, Giove relegò a reggere il globo terrestre. Il dialogo inizia con Ercole che fa visita ad Atlante, inviato da Giove, per dargli sostegno e permettergli di riposare. Atlante gli risponde che il mondo non è più come una volta, è diventato così leggero che il mantello che lo copre è più pesante. E continua aggiungendo che, se non fosse per Giove, che gli ha imposto di star lì fermo a sostenere il mondo, quella "pallottola", termine riferito al globo, avrebbe potuto portarla sottobraccio, in tasca o legata alla barba. E nell'affermare ciò definisce il suo interlocutore "Ercolino" quasi si fosse ridotto anche lui come gli uomini e per svilirne la forza che, a questo punto, non serve più. Già precedentemente Ercole era stato, durante le sue fatiche, a sostenere il peso del mondo, quando andò a prelevare i pomi d'oro delle Esperidi. A quel punto gli chiede come sia accaduto di non riconoscere più il mondo, mutato ora nella forma di una "pagnotta" dopo aver provato a sospenderlo e a rilevarne il peso. E continua dicendo che la volta precedente, quando lo sospese, avvertiva il peso con una sensazione di fermento al suo interno, ora assomiglia a un orologio rotto e in silenzio. Atlante gli ribadisce che già da tempo il mondo ha finito il suo moto, tanto da crederlo morto e si aspetta, da un momento all'altro, la sua putrefazione. E già si affannava a costruire l'epitaffio oltre a dargli una sepoltura. Ma visto che tutto questo non era ancora accaduto deve credere che il mondo sia diventato un vegetale. Ercole, invece, crede che il mondo dorma, e si preoccupa. Allora vuole provare a scuoterlo con un colpo di clava ma è consapevole che potrebbe trasformarlo in una pizza o schiacciarlo o addirittura che gli uomini tramortiscano sotto i colpi. Atlante si preoccupa della reazione di Giove a questo loro gioco con serie ripercussioni, magari colpendoli con i pericolosi fulmini.
La palla, nelle mani di Ercole, stenta a balzare, mentre prima lo faceva come un capriolo, e gli cade di mano. Atlante, preoccupato più per la reazione che potrà avere Giove, gli chiede di scusarsi col padre. Ercole dice che riferirà e gli comunica anche che sull'Olimpo c'è Orazio, il poeta latino che afferma: "L'uomo giusto non si muove se ben cade il mondo". Atlante conclude dicendo: "Chi dubita della giustizia degli uomini?"
Anche qui gioca l'ironia, poiché la giustizia non sembra appartenere al mondo, così come il suo mutamento da com'era prima sembra confermare il fatto che si sia snaturato, sia irriconoscibile.
Una volta il mondo reagiva, era vivo, sembra uscire dai commenti dei due, ora il suo silenzio lo rende lontano, vuoto, pervaso da un'ignavia che lo sprofonda. Il pessimismo cosmico di Leopardi, nonostante il dialogo comico satirico, pone la prosa in un buio, ma potrebbe far riflettere che, allora come adesso, il mondo gira sulle spalle degli uomini, senza sconti per nessuno. Sebbene il refrain per il poeta di Recanati sia l'infelicità, un raggio di sole potrebbe uscire dalla rete degli uomini volti a unire le loro forze più che le loro infelicità.
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