Metti una sera d'estate...

D'estate è bello intrattenersi fino a tardi, quando la frescura ci viene incontro dopo una giornata afosa e irrespirabile. E' bello farlo con amici ma anche da soli, girovagando per la casa alla ricerca di cose insolite da fare, con l'illusione di avere tutto il tempo a disposizione e invece, di mattina, stentiamo a svegliarci per essere andati a letto a un'ora indecente. Spesso in questi casi, faccio cose per me impossibili durante l'anno, come guardare la tv oppure mettere in ordine le mie cose o scavare nelle mille raccolte di fogli, disegni e foto nelle mie librerie.
Ieri notte è stata la volta di vecchie foto, spolverate dopo anni di sepoltura in scatole, come tante sfoglie di pasta, un po' appiccicose, decine e decine che non trovano posto in album, per essere piccole o eliminate o dimenticate. Per prima cosa mi sono preparata una bevanda ghiacciata, poi, raccolta sulla poltrona nella zona tinello della mia cucina, ho aperto la scatola come un forziere dove si nascondevano ori e pietre preziose. Ogni tanto avvertivo un silenzio tombale e allora ho messo su una bella musica di quelle che suoniamo a pianoforte e sono partita alla volta del mio viaggio fotografico. Foto di città visitate, come Londra, Cadice, Nizza, St. Ives, Santiago di Compostela, Siviglia, Gibilterra...La prima foto capitatami sotto le mani è di mia madre a mare, e tra le braccia mio figlio che lei innalza al cielo come un trofeo.
 Mio figlio ride e la nonna ha un sorriso strepitoso. Che bei costumi: a righe quello di mamma e alla marinara quello di mio figlio. La bellezza umana a volte toglie il respiro, entrambi sono bellissimi. Dietro di loro si apre uno scenario stupendo, dove mare e cielo si confondono in uno scambio di colori , acqua e aria, scogli e barche in riva al mare. Poi, subito dopo, una foto mia dove sono in posa al centro di una spiaggia sabbiosa con un costume due pezzi nero, dietro di me un mare piatto, immobile, di un azzurro intenso. Ho quindici anni, dimostro qualche anno in più, abbronzatissima e, sotto il ciuffo di capelli, sbucano due occhi molto espressivi. Sulla stessa spiaggia, in un'altra foto, io e mia madre raccolte sul telo a raccontarci confidenze, così uguali nel fisico e nella posa, negli atteggiamenti, l'una di fronte all'altra, con la sabbia che si appiccica alle gambe, i capelli lunghissimi al vento, mia madre con capelli alle spalle di un colore biondo cenere in contrasto con la mia abbronzatura e i miei capelli castani...
Non mi va di pensare quanto tempo è passato e fortunatamente me ne capita un'altra che scalza via subito la leggera malinconia...Un falò in spiaggia con amici di qualche anno fa. Mi colpiscono gli sguardi di ciascuno rivolti al fuoco, tutti con maglioncini addosso e il mare argenteo dietro di noi. Stiamo raccontando tante storielle, fatti e barzellette, qualcuno ride senza sosta, in mezzo due amici che suonano le chitarre, qualcuno mangia un gelato, qualche altra è nelle braccia del marito, un altro s'inventa un passo di danza. Mi chiedo il motivo per cui non c'è più tempo per queste cose? Un'altra foto mostra un pic nic sul monte Faito dove cerchiamo di arrostire un pollo allo spiedo. Siamo così buffi con i grembiuli da lavoro come se stessimo in una cucina di un ristorante e invece stiamo solo arrostendo un pollo, in montagna, su un fuoco piccolo e contenuto per non incorrere in un incendio! Indosso dei bermuda, la mia frangia è lucida e ben pettinata, i capelli lunghissimi, una maglia a righe rosse. Mentre gli altri accendono il fuoco, continuo a costruire il mio centro a uncinetto mentre leggo le indicazioni dal foglio tirato da un giornale. Il mio ragazzo, non avendo di meglio da fare, aiutato da mia madre e mia sorella, si porta via il foglio con le spiegazioni per accendere il fuoco. Me ne accorgo giusto in tempo per tirargli di mano la parte con la foto, ma  le spiegazioni erano già sul fuoco a bruciare. Stetti un bel po' arrabbiata e mi toccò finire un centro di mezzo metro di diametro o forse più, guardando solo l'immagine! Intanto sono le tre di notte, l'aria fresca comincia a darmi qualche brivido, la bibita è finita, le foto sono tante, le passo tra le mani come per cercarne qualcuna in particolare...ah, ecco io immersa di notte in un mare ghiacciato con due amiche. Le braccia conserte per il freddo, loro in acqua e io incapace di immergermi. Che bello il costume intero verde smeraldo, i capelli lunghi sulle spalle e la pelle d'oca, tutt'intorno buio pesto, tanto che non si scorge
l'orizzonte, mare e cielo sono la stessa cosa...la mia amica completamente immersa, l'altra a fare un tuffo e suo fratello a schizzarci. Mi chiedo il motivo per cui mi trovo a guardare queste foto! Un'ultima foto che mi resta tra le mani è quella che ci ritrae a Gibilterra. Dietro la rocca alta che mi sovrasta come un cappello sulla testa, mentre cammino con la mia gonna a fantasia a portafoglio che il vento apre e lascia intravedere le gambe, i miei figli che cercano di fare il bagno in un mare ghiacciato, mia figlia e mio padre che non riescono a bagnarsi. Ne prendo una dietro l'altra come tante cartoline e ognuna con la sua storia. Alla fine, esausta, ripongo tutto nella scatola e annodo col  il suo  fiocco. Alzando lo sguardo vedo sul tavolino accanto al divano il mio centro a uncinetto finito dopo aver bruciato le spiegazioni, un modo per vedere una certa continuità tra quello che è stato e che è ora. Quanta storia raccontano le nostre foto!


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Cultura e lettura

Le continue presentazioni, sia mie che di altri autori, alle quali prendo parte, mi hanno dato lo spunto per fare alcune considerazioni circa l'interesse che le persone possano avere per la cultura. Chi opera in ambienti come la scuola, la scrittura, la poesia, il giornalismo, sa che è fondamentale avere conoscenze di base che permettano di spaziare e soprattutto avere una mente aperta e una capacità critica su ogni argomento che si tocchi.
Il pensiero si forma con la conoscenza, lo stesso Catone il Censore, nell'antica Roma, era solito raccomandare suo figlio di conoscere bene gli argomenti e le parole si trovano solo quando si è padroni della materia. La conoscenza, da più parti, viene vista come la base senza la quale non possiamo dare niente, solo contributi di poco conto, se quello che diciamo non è supportato da valide informazioni.

Tra le attività indispensabili per fornirsi una conoscenza di tutto rispetto, c'è la lettura. Leggere non solo i classici, cosiddetti sempreverdi, ma anche libri dei nostri tempi senza distinzione tra scrittori affermati e giovani, esordienti e critici, senza avere alcun pregiudizio nella nostra scelta. Leggere significa avere un ventaglio di notizie e di strumenti indispensabili per conoscere in modo profondo la società che ci vede protagonisti e, a meno di non trovarsi davanti a uno scritto scialbo e poco curato, leggere autori diversi può aiutare molto. Alle presentazioni di libri, di solito, partecipano persone informate sull'autore e sul contenuto del libro, persone interessate e talvolta essi stessi autori, per cui molto spesso ci troviamo davanti persone dell'ambiente. Questi momenti potrebbero, invece, essere utili per far intervenire coloro che sono ostinati a non prendere mai un libro in mano, pensando che la cultura sia solo costituita dalla vita quotidiana, dal saperci fare, dal risolvere problemi. Cultura deriva dal verbo latino "colere" e significa coltivare, proprio come il saper coltivare nei campi.
Qui coltivare sta per costruire passo passo la nostra identità e il nostro bagaglio di conoscenze per poter acquisire la nostra autonomia e libertà di pensiero. Per cultura s'intende tutto ciò che in noi matura nel tempo con l'esperienza, significa conoscere comportamenti di vita, di formazione intellettiva... ma anche scambio di fatti e idee, ascolto di contenuti che potrebbero esserci utili per tanti motivi, e soprattutto confronto attivo con quella parte di notizie che possiamo avere da persone che ne sanno più di noi. C'è sempre qualcuno che ne sa più di noi, anche per chi pensa di sapere tutto: più si sa meno si sa. Democrazia è anche lasciar dire e ascoltare idee altrui e operare una nostra scelta, attribuire un valore a quello che ascoltiamo o leggiamo. La cultura non si esaurisce e non ha un limite oltre il quale non c'è più nulla da imparare. Imparare è quasi un dovere e il fatto stesso che si scriva tanto, vuol dire che ci sono molteplici aspetti e punti di vista diversi nell'ambito della società. L'aggiornamento continuo a cui siamo sottoposti in tutti i campi lavorativi, ci dice quanto la cultura sia di facile trapasso, quanto le conoscenze siano facilmente rimpiazzabili da altre più fresche e nuove. E allora leggere diventa un dovere per la società, per essere informati e fruire di contenuto che la società produce nel suo progredire.
La cultura è un processo di formazione individuale quantitativo e qualitativo che si serve della conoscenza e questa può avvenire solo attraverso la lettura, quindi il rapporto tra cultura e lettura è un rapporto molto stretto, indispensabile per favorire l'acquisizione di uno sviluppo intellettivo, adeguato e attivo.

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La mia estate

La vacanza ideale non esiste, ognuno ha un suo modello e anch'io mi costruisco il mio. Mi lascio trasportare dalle tante cose che ho da fare e nel tempo è cambiato il mio tipo di vacanza. Per vacanza intendo quel periodo di riposo entro il quale riesco a svolgere le attività che più mi piacciono e per queste intendo leggere e scrivere. Porto con me sempre libri da leggere, quaderni per appuntare, computer per digitare e non manca mai, nei luoghi dove vado,lo spunto per scrivere poesie, racconti e i seguiti di romanzi. Non ho difficoltà a stare ore a scrivere o a leggere dimenticando tutto il resto e se non fosse che la vista di tanto in tanto chiede venia, starei per un tempo interminabile. I miei dicono che sono la classica "fissata" che non so stare senza libri, quasi andassi in crisi di astinenza. Quando viaggio in auto o in treno, scrivo. Se viaggio in auto, i miei sanno che devono stare in religioso silenzio poichè non posso assecondare le loro richieste, non li ascolto, nè replico. Così mantengono il mio ritmo, ma appena rivolgo loro la parola, diventano tutti logorroici e mi assillano con discorsi e richieste e io per salvarmi dai loro assalti, ritorno a scrivere. Se vado in treno, perdo completamente la cognizione del tempo e se qualcuno ha intenzione di chiedermi qualcosa gliela faccio passare, non perchè sia scortese, ma vedendomi così assorta percepisce che sto scrivendo qualcosa di importante.La nota positiva è che riesco a estraniarmi da tutti e concentrarmi su quanto sto scrivendo. Qualche tempo fa un signore accanto a me, nel treno, mi chiese cosa stessi scrivendo di bello e io risposi che ultimavo una racconto breve e il brav'uomo si bloccò dal chiedermi altro per non invadere il campo. Ma non seppe resistere e alla fine mi chiese il contenuto.Allora dovetti sospendere il lavoro e cominciare a parlare di cosa mi piaceva scrivere. Da allora ho imparato e,se accade ancora,dico che scrivo verbali di lavoro, sicura che nessuno mi invita a parlare. Un anno accadde che leggendo, mentre me ne andavo lungo il bagnasciuga col libro aperto sotto il naso, finii con un piede nel secchiello di un bambino rovinandogli il castello. Dovetti poi aiutarlo a costruire la parte che avevo buttato giù. Un'altra volta a casa di una amica leggevo sull'altalena a dondolo e continuando ad andare su e giù finii per buttare giù dal muretto una ciotola con gerani. Che disastro! Potrei enumerare un bel po' di esempi, solo per rendere l'idea di cosa mi accade quando sono in vacanza e posso leggere senza sosta, così come scrivere quando viene la fatidica ispirazione. Trovo sempre un posto dove rintanarmi e stare assorta sui miei fogli .Anche in spiaggia mi concedo poco: in acqua o stesa solo il minimo indispensabile, poi cappello e occhiali scappo sotto l'ombrellone e sto bene fino a quando non si risale. Di solito trascorro del tempo anche in Umbria e lì gli amici hanno imparato, quando mi vedono sotto gli alberi al fresco con le mie cartelle a scrivere o a leggere, non si avvicinano, non ho capito se per non darmi fastidio o se non sopportano il fatto che mi
isoli. Una volta mi sono sistemata sotto una quercia nel boschetto lì vicino, su di una panchina, ma un gruppetto di ragazzi, tutti figli nostri, ha lanciato il pallone che si è posato proprio sui miei fogli: ho capito che dovevo andare. Spesso scendo a compromessi con chi mi reclama: se mi lasciano in pace a finire la lettura o la scrittura, poi mi concedo e sono a loro disposizione. L'estate passa così tra un'overdose di scritti e letture e piccoli intervalli con bagni, sole e compagnia.La mia estate anche se prevede lettura e scrittura a volontà,mi vede anche protagonista di serate in compagnia di amici a raccontarci e a scherzare tra pizze e cenette, bagni e sole, passeggiate e luoghi da
scoprire.
Ma la cosa più bella è quella di non guardare più l'orologio e uscire fuori dal tempo, almeno per un po'.


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La favola


La parola favola spesso viene usata per definire qualcosa di favoloso, bello, oltremodo stupendo. Non sempre la usiamo nella sua accezione specifica. Le favole non sono in estinzione,ancora oggi si scrivono favole, soprattutto per bambini moderni che sono molto più avanti e informati di quelli di una volta. La favola è un racconto in versi o prosa che ha per protagonisti animali con atteggiamenti umani,una rappresentazione allegorica della natura umana con i suoi vizi e le sue virtù, con il compito di educare o comunque rilasciare una morale. Ogni favola è percorsa da una vena malinconica e pessimistica, un aspetto da cui partire, per poi sviluppare il racconto e giungere a una conclusione moralistica. Attraverso l'ironia, spesso, il narratore denuncia le ingiustizie sociali, ridicolizza i difetti degli uomini e ne critica i vizi. Essa va distinta dalla fiaba con la quale spesso viene confusa. La fiaba è un racconto per intrattenere, incantare e si serve di elementi magici, incantesimi ed effetti straordinari per colpire. Essa non ha una morale, anche se a volte può far riflettere. I protagonisti della fiaba sono principi e principesse, streghe e personaggi fantasiosi. Talvolta la favola e la fiaba vengono miscelate confondendo le caratteristiche dell'una con quelle dell'altra.
La favola ha una lunga storia e la sua nascita avviene in Grecia nel VI secolo a.C. con un autore diventato il padre della favola in assoluto, Esopo, favole diventate esempi di virtù valide in ogni tempo. Nel I sec. d.C. un altro autore latino, Fedro, riprese le favole di Esopo e ne fece uno strumento politico per combattere i vizi e le virtù della società romana al culmine del suo fasto e prossima alla sua caduta in seguito alla corruzione. Fedro, liberto affrancato da Augusto, parlava ai suoi detrattori per mezzo della favola, servendosi degli esempi degli animali per parlare dei vizi degli uomini. Autore di favole fu anche il grande Leonardo da Vinci che ne scrisse moltissime e di grande rilievo, ma meno fortunate di quelle dei suoi predecessori per la poca divulgazione. Leonardo fu conosciuto soprattutto per la sua pittura e la sua scientificità, meno per le sue qualità letterarie. Altro grande autore fu, nel seicento, in Francia, La Fontaine che riprese le stesse favole di Esopo e le rimaneggiò adattandole alla società del suo tempo, dando grande valore anche a quelle scritte prima di lui. In tempi più vicini abbiamo Trilussa, poeta romano, grande autore di favole e Italo Calvino.
La favola è un genere letterario ancora vivo, anche se spesso si stravolgono le sue regole e
molti autori se ne servono per trattare argomenti anche di un certo rilievo. Qualsiasi argomento può essere ben sviluppato e concluso nell'ambito della favola, soprattutto quando ci si rivolge a un pubblico infantile. L'infanzia è un periodo in cui tutto può essere insegnato a patto che venga espresso in un linguaggio adatto ai bambini. Una volta si pensava che l'infanzia fosse il periodo entro il quale il fanciullo affinasse la parola, tanto è vero che il termine infanzia sta a significare il periodo in cui non si parla, dal latino "for, faris, fatus sum, fari", dire, e in, che sta per non, quindi "il non dire". Oggi i bambini sono molto più loquaci di una volta, oserei dire quasi logorroici e può essere insegnato loro molto più di una volta. Ma la favola non ha perso il suo fascino e ogni bambino zittisce a sentirne una. I piccoli interagiscono con i fatti loro raccontati e partecipano come se fossero essi stessi i protagonisti. Non solo, ma quando hanno assimilato la favola vogliono anche rappresentarla, viverla, costruirla nella realtà proprio come diceva Piaget che vedeva i bambini dell'età di sette, otto anni, come coloro che hanno bisogno delle rappresentazioni concrete. Che ben vengano allora le favole, genere letterario sempre attuale, basta che si inseriscano in essa elementi validi e moderni dove il bambino possa rappresentare il suo mondo interiore, che a questa età sembra quasi un cantiere in opera!
Le favole moderne non rispettano più tanto i canoni passati e ce ne sono alcune anche molto lontane dalle loro antenate, ma è importante che, ogni favola che si rispetti, abbia una morale, una sorta di pillola di saggezza che deve farci riflettere. I bambini di oggi, così svegli e motivati, hanno buone capacità di analisi per interiorizzare la favola e apprenderne il valore. La lettura di una favola è interessante anche per un adulto che trova sparsi qua e là tanti semi di filosofia spicciola e di vita.


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Gli innamorati






Passando spesso davanti alle scuole, vedo gruppi di ragazze e ragazzi che si incontrano come in una coreografia perfetta, abbracciandosi e baciandosi, con rapidi sguardi, incroci di occhi eloquenti alla ricerca della persona amata, da fare invidia a noi grandi così restii in queste manifestazioni e gesti che pure conosciamo e ne siamo quasi infastiditi. Invece è così bello vederli in questo vortice immenso che è l'amore e che non salva nessuno dai suoi lacci. Spesso ci si ritrova a sentire i loro discorsi con domande precise e logiche, come se l'amore fosse un fatto matematico e ben definito.
    Oggi vogliamo la risposta a tutto e ad ogni stimolo, ad ogni sensazione, ad ogni emozione, deve scattare la sua spiegazione. I giovani non sono complicati come gli adulti, hanno una spontaneità e una ingenuità disarmante così come a volte sanno essere più spietati di noi, più tenaci, più veritieri, ma si sa è solo per l'età. Col tempo l'amore assume sfumature e caratteristiche più definite, chiare, e noi adulti diventiamo più esigenti e forse anche un po' più cinici. Ci rendiamo conto che l'amore si trasforma, acquista connotati nuovi, si plasma a seconda di cosa abbiamo vissuto, di come ci hanno amato, di cosa ci aspettiamo, di quanta importanza abbiamo dato all'amore nella nostra vita e come noi maturiamo con gli eventi. Di tutto questo i giovani sono scevri e nemmeno potrebbero capire aspetti che solo la maturità porta con sè. A quest'età sì è nel pieno dell'incanto e l'amore è tutto un mondo da scoprire. Pur nella loro giovane esperienza, i ragazzi mostrano un gran carattere, forse sono meno approssimativi, più esigenti, con maggiori aspettative, e poi sinceri, diretti. L'apprensione maggiore è tra le ragazze, che, in questo periodo, si pongono tanti interrogativi, dettati dall'inesperienza e dalla paura, e vanno rassicurate, capite, ma guai a ridicolizzare, sminuire o ironizzare sui loro sentimenti. I giovani vogliono essere trattati alla pari degli adulti e le loro problematiche , che a noi sembrano banali, sono questioni vitali. Davanti alla domanda: "Come fai a sapere se un uomo è innamorato di te?" postami da una ragazza, si resta un po' nel vuoto e si annaspa alla ricerca della risposta giusta, che sia adatta per questa fase, senza illudere, nè sminuire in loro un sentimento che ci rende uguali, grandi e piccoli. Ti rendi conto che non te lo sei mai chiesto, mentre loro sono attente, scientifiche e chiedono per approntare una sorta di metodo, confutando e avvalorando tesi per descrivere i moti del cuore.
Allora comincio col dire che l'amore si fonda sulla sincerità, la verità dell'uno verso l'altra e viceversa, senza barare. Dopo tanti tentativi mi affido dell'esperto, a Francesco Alberoni e alla sua risposta data a una ragazza che gli chiedeva la stessa cosa.
"L'innamorato, dice Alberoni, e' dolce e gentile, appare sempre un po' timido e un po' fragile. Ha bisogno di contatto, di sentire accanto la sua amata e, anche tra mille persone, tende ad avvicinare lei, a incrociare il suo sguardo. Questa è una prova inconfutabile.
Le fa piccoli regali, regali da poco. Quando è al suo cospetto è come se volesse imprimere nella memoria quel momento, fissare con gli occhi ciò che vive. E' potenzialmente geloso. Chi non è geloso, non ama! Bisogna sfatare il mito che non bisogna essere gelosi, non è così, un vero innamorato è sempre geloso, diffidare da altri atteggiamenti. Vuole sapere tutto del suo passato, affascinato dalla sua vita.
L'amore è paziente, non si stanca di aspettare, impazzisce se non arriva. Si scusa continuamente per paura di irritare.
Continua a ripeterle che l'ama, che è bella. Quelli che non dicono mai "ti amo" non sono innamorati e non bisogna credere loro se affermano il contrario. Così come diffidare da coloro che lo dicono spesso,  sono falsi. Continua a ripetere che è felice con lei.
E' orgoglioso di lei, vuole che gli altri la apprezzino, diventa aggressivo se gli altri sono sgarbati, la considera piena di virtù e gli viene la faccia da bambino ingenuo e possessivo.
L'amore adora, chiede, implora, aspetta, ma poi è esigente, molto esigente".
Alberoni è un romantico e ci descrive un uomo proprio come piace a noi donne!
Adesso, con taccuino alla mano, ci si muove con maggiore conoscenza e di fronte a qualche delusione: basta cancellare il punto che non ha soddisfatto. Questo non è altro che un modo per rassicurare l'ansia con cui le ragazze vivono le loro prime esperienze.
Il fatto è che il mondo dell'amore è uguale per tutti e ciò che va bene ai grandi va bene anche ai giovani e viceversa. L'amore è l'unico campo in cui siamo tutti d'accordo, e il modo  di  amare è universale, valido sempre e ovunque e senza distinzione tra giovani e adulti, ma solo con piccole variazioni di sensibilità di ciascuno.


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L'arte di attendere


Ieri, sulla strada del ritorno a casa, mi sono imbattuta in un incidente: la strada era completamente ostruita, non c'èra verso di procedere, nè scovare un piccolo passaggio tra i rottami dove potersi infilare. A quel punto, tutti abbiamo spento i motori nell'attesa della polizia e dell'ambulanza che portasse via i feriti. I feriti hanno ricevuto i primi soccorsi, la situazione era sotto controllo, ma la strada impraticabile
Dall'auto davanti alla mia è scesa una signora, arrabbiatissima, brontolando che non poteva permettersi di perdere tutto quel tempo a stare lì ferma mentre a casa il marito aveva bisogno di ossigeno. E' passata un'ora lì fermi, senza poter fare alcunchè, solo attendere, ognuno nella propria auto a guardarsi intorno avvolti nei propri pensieri.Come sempre porto libri con me anche quando vado a danza e subito, tirato fuori il mio romanzo di turno, ho letto per un po'. Un signore mi ha chiesto d'accendere, ma visto che non fumo ha fatto il giro delle auto, poi è ritornato e mi ha confidato che era una bella sensazione il fatto che un imprevisto ci costringesse tutti a fermarci ad aspettare..."Dobbiamo imparare ad aspettare! Qui sono tutti impazienti, vanno tutti di fretta, hanno mille incombenze, che poi sono quelle di rispettare gli orari per colazione, pranzo e cena, per fare la spesa, per dormire, per andare a lavoro e soprattutto per correre. E così ci troviamo alla fine ricordando solo che abbiamo aspettato...ma cosa?
Ma sai quanto ne guadagna il nostro corpo a fermarsi e uscire dalla routine che gli diamo ogni giorno facendolo girare come una trottola e ponendolo sotto continui sforzi? Per esempio, sto fumando questa sigaretta proprio con gusto, chi l'avrebbe detto?" Lo ascoltavo e riflettevo che è vero: non siamo capaci di gestire il tempo che non sia controllato, organizzato, progettato, tutto va bene se siamo iperimpegnati e non facciamo altro che passare da un'attesa all'altra che non vuol essere solo del tempo cronologico. Nella nostra vita ci sono tante attese, tante volte in cui aspettiamo che i nostri bisogni vengano soddisfatti, che i nostri desideri vengano esauditi, che i nostri progetti vengano portati a termine e la nostra vita si realizzi così come l'abbiamo immaginata. E così passiamo da un'attesa all'altra pensando di aver raggiunto quello che ci impediva di essere felici ed ecco che siamo già proiettati nell'attesa successiva. Il tempo delle nostre attese è fatto di ansie, di corse, di apprensioni, di scansioni per gestire al meglio quanto attendiamo.
 
Non sempre questo tempo è vissuto bene, anzi spesso, nell'attesa, si incrociano altri ostacoli, si iniziano altri progetti, si formulano altri pensieri, riscontriamo altri tempi da scandire e così fino alla fine. Ed è per questo tempo che viviamo con intensità le delusioni, i piaceri, le costrizioni, il lavoro più pesante, i sacrifici più penosi, tutto in nome del famoso progetto da realizzare. Ma a quale costo? Quanto abbiamo perso? Quanto dobbiamo mettere in conto? Ma guai a non prefiggerci scopi da raggiungere, desideri e sogni da realizzare che scuotono il nostro animo dal torpore della quotidianità, dalla monotonia del tempo che passa con le sue consuetudini, con i nostri gesti sempre uguali che ci tolgono entusiasmo.
L'attesa è la proiezione o meglio la simulazione dell'evento: immaginiamo quanto accadrà, come accadrà, ciò che ci porterà, i benefici che arrecherà ed è come se vivessimo in virtù di quell'evento, prendendo da esso la forza per sopportare ogni cosa.
L'attesa è "aspettare perdendosi come se entrassimo nell'infinito! Aspettare è perdersi! E' come aspettare uno sconosciuto che deve arrivare..." come dice il dott.R.Morelli.


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ROSELLA


Rosella, esclusa, esiliata, elusa fin dalla nascita, si trova a vivere dopo un’adozione a Vico, insieme alla madre Aita e al padre Aiello.

Rosella è la madre dell’autrice che ripercorre quasi fosse stata protagonista presente, tutti i passaggi che la mamma ha vissuto.

La scrittrice ci spiegherà passo dopo passo, in una sorta di cronaca temporale, gli attimi importanti e fondamentali per la formazione caratteriale e di vita della madre stessa.

Rosella che deve reiventarsi ogni volta, Rosella che cerca complicità, Rosella che è amata dal padre, ma che non riesce ad avere un buon rapporto con la madre la quale addirittura le manipolerà anche il sentimento più importante per l’essere umano: l’amore.

Una bambina che che arrivata alla propria adolescenza si troverà già grande e con grandi responsabilità; sposata a 15 anni, obbligata e incatenata a congetture, ostacoli e obblighi e poi delusioni, dolori e tanta voglia di sognare ; dure prove fino a quando ad un certo punto della propria vita qualcosa prenderà una piega diversa…

Un romanzo emozionale, ricco di passaggi, scene in continuo movimento sotto lo sguardo del lettore che non riuscirà a staccare gli occhi dal libro per vedere oltre, per sperare oltre e prendere con il pensiero la mano di quella ragazzina che forse, non lo è stata mai.

Una storia ambientata in un periodo storico e in un ambiente dove la libertà di agire, di essere e di decidere per una donna ,era limitato o assente e spesso pilotato da altri, vuoi per ricerche di migliorie economiche, per culture o per ristrettezze mentali.

Un libro scritto con fluidità, ricco di particolari, dove i profumi, i colori, i dialoghi prendono il sopravvento ,un itinerario in continuo movimento dove i numerosi personaggi descritti, i tanti nuclei familiari iniziano ad avere per il lettore, un volto, una voce, un’identità precisa.

Famiglie intere con i loro segreti, i loro pregi e difetti che condizionano in qualche modo la vita di una bambina arrivatà in una cittadina per un destino di vita.

Filomena Baratto parla della propria madre come per studiarla, conoscerla, riscoprirla, e magari comprenderla per intuire alcuni lati del suo carattere.

Durante la lettura, si ha la sensazione di vedere l’autrice in ogni angolo descritto, in ogni scena raccontata quasi che la sua presenza fosse sempre stata reale in ogni attimo di vita di Rosella, quasi che la propria ombra si fosse insinuata nel vissuto della propria famiglia per non perdersi attimi e istanti d’un tempo passato.

Un romanzo autobiografico, scritto con forza, incisione, naturalezza; un viaggio emotivo quasi per sottolineare le certezze, i quesiti, le risposte alle proprie domande interiori dove c’è sempre tanto da scoprire.

Pagine che non sono solo idiomi scritti, ma risposte e constatazioni di una donna che sicuramente sente forte il valore di dover ricostruire quello che è linfa vitale, radice del sé, una narrazione che nella metafora diventa una sorta di specchio dove attraverso le immagini, che mostrano una bambina in crescita, l’autrice cerca quella parte del suo essere donna e forse anche un po’ mamma di quella Rosella poco amata, poco compresa ma decisamente forte nonostante le varie avversità.

Un itinerario nel tempo dove il passato diventa risposta e ricerca, dove non tutto è sempre come vorremmo e le aspettative sono come i bagagli di vita, pronti in attesa di noi, dei nostri perché, dei nostri bisogni, delle nostre solitudini da giustificare fra le paure e scoperte che ci aprono
a quelle risposte che sono rimaste in sospeso dentro di noi.

Rosella non è mai stata padrona di scelte, anche lei ha trovato bagagli colmi di obblighi o tragitti sbagliati che forse, in altri luoghi, in altre situazioni e altri “mondi” avrebbe potuto anche lei asserire:

IO ESISTO!

Di Marzia Carocci Oubliettemagazine

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